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Cass. Pen., sez. VI, ud. 20 giugno 2024 (dep. 9 agosto 2024), n. 32470

- 16 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Le condotte di sviamento, oggetto del dolo specifico della fattispecie incriminatrice del depistaggio, devono essere lette in un’accezione processuale (e non meramente sostanziale), inclusiva dei soli comportamenti diretti a indirizzare verso un esito giudiziario diverso da quello corrispondente alla realtà fattuale per come fotografata allo stato delle indagini o del dibattimento. Non rientrano, invece, nel campo applicativo dell’art. 375 cod. pen. quei comportamenti diretti a corroborare o consolidare il corso delle indagini o il quadro dibattimentale.

Svolgimento del processo 

La Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna in primo grado dell’imputato per i reati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati (art. 479 c.p.) e depistaggio (art. 375 c.p., commi 1 e 2).

I fatti da cui trae origine il processo sono così riassumibili.

Il Sovrintendente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Polizia di Stato, insieme ad altri due agenti, ritenendo di aver individuato in due persone di etnia gambiana gli autori di alcune rapine commesse a Reggio Emilia, falsificarono variamente le prove al fine di rendere sostenibile l’ipotesi accusatoria nei confronti dei due indiziati.

In particolare, con riferimento alla condotta di falso ideologico in atto pubblico si è accertato che uno due coimputati formò un verbale precompilato sottoposto ai testi raggiunti da un poliziotto direttamente presso la loro abitazione oppure nell’ospedale in cui si trovavano ricoverati. Ne è derivata la falsità sia in merito al luogo in cui il verbale risultava compilato (Questura) sia in merito al fatto che l’imputato era presente al momento della redazione del verbale.

Con riferimento alla condotta di depistaggio, si è accertato che l’imputato abbia compilato e sottoscritto due distinti verbali di sequestro probatorio a carico dei soggetti gambiani riportando falsamente che, in occasione del fermo, questi indossassero abiti diversi da quelli realmente indossati e che uno dei due abbia consegnato spontaneamente i suoi pantaloni (corrispondenti alla descrizione effettuata da una teste) prima di essere condotto agli uffici della Questura, mentre gli indumenti in oggetto erano stati rinvenuti dai poliziotti in una sorta di discarica di vestiti dismessi nei pressi dell’area dove i due gambiani dormivano.

Avverso tale sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso.

Il motivo di gravame di maggior interesse ha ad oggetto la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 375 c.p.

Si sostiene che la condotta contestata non integri lo sviamento dell’indagine: non vi è stato alcun cambiamento di direzione della stessa, come dimostrato dal fatto che si contesti ai poliziotti di aver avviato un’indagine in una certa direzione perché sicuri dell’identità dei responsabili. Facendo leva sul principio del favor rei, allora, si argomenta che il fatto avrebbe dovuto essere sussunto sotto il delitto di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria di cui all’art. 374 bis c.p.

Si aggiunge, inoltre, che difetterebbe l’elemento soggettivo del reato di depistaggio: esso deve consistere nel dolo specifico di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale e non nel dolo generico (previsto in relazione ad altre fattispecie: vedi gli artt. 374 e 371 bis c.p.). Né – si sostiene – il giudice di merito ha dato conto del contributo causale dell’imputato alla realizzazione dell’evento e comunque, anche laddove lo si ritenesse configurabile, non lo avrebbe considerato di minima importanza ai sensi dell’art. 114 c.p. non avendo egli posto in essere la condotta materiale ed essendo in posizione di subordinazione gerarchica rispetto all’altro coimputato.

Motivi della decisione

(…)

La Corte ha ritenuto fondati i ricorsi.

 

Innanzitutto, i giudici di legittimità precisano che il reato di cui all’art. 375 c.p. può avere ad oggetto, oltre al processo penale, anche un’indagine (come nel caso di specie) e che è necessaria la sussistenza di un nesso funzionale tra la condotta e la qualifica pubblicistica dell’agente, essendo l’imputato uno degli agenti incaricati di svolgere l’indagine sulle rapine per cui si stava procedendo.

Ancora, l’art. 375 c.p. contempla il c.d. depistaggio materiale (comma 1, lett. a, c.p.) e il c.d. depistaggio dichiarativo (comma 1, lett. b, c.p.).

Ciò premesso, la Suprema Corte, dopo aver esaminato l’impianto argomentativo delle sentenze di primo e secondo grado e ritenuto di non poterlo condividere, ritiene che i maggiori sforzi interpretativi debbano concentrarsi sul dolo specifico di “impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale”.

La Corte richiama una prima tesi, ad opinione della quale il dolo specifico in esame è integrato anche quando il pubblico ufficiale agisca per corroborare o consolidare il corso delle indagini (come nel caso in esame) o il quadro dibattimentale, facendo coincidere lo stato (dei luoghi, delle persone o delle cose) apparente con quello reale.

Tuttavia, i giudici di legittimità ritengono di non aderire a tale orientamento, sposando un’accezione di condotte di sviamento (non meramente sostanziale) ma processuale. In altri termini, ad avviso di questo indirizzo sono punite a titolo di depistaggio esclusivamente quelle condotte dirette a indirizzare verso un esito giudiziario diverso da quello corrispondente alla realtà fattuale per come fotografata allo stato delle indagini o del dibattimento.

In quest’ultimo senso, secondo il Collegio, depongono le seguenti considerazioni.

Tale lettura più restrittiva risulta maggiormente in linea con le intenzioni del legislatore storico che mirava a fornire risposta nei confronti di quei comportamenti volti a occultare la responsabilità di uomini di Stato in relazione a condotte che mettevano a repentaglio l’ordine pubblico o addirittura l’ordine democratico.

Sulla scorta di un’interpretazione costituzionalmente orientata aderente al principio di offensività e proporzionalità della pena, va altresì tenuto a mente che si tratta di reato gravemente punito che non può non far riferimento a condotte manifestanti una gravità correlata: la cornice edittale prevista per l’art. 375 c.p. è, invero, ben più severa di quella contemplata per le confinanti fattispecie di falso e di frode processuale.

Inoltre, la caratterizzazione della fattispecie in chiave di dolo specifico richiede che il soggetto che riveste la qualifica soggettiva pubblicistica abbia coscienza di alterare il quadro della verità processuale.

Infine, in armonia con il principio di sussidiarietà della tutela penale l’opzione interpretativa patrocinata risulta la più adatta a delineare i rapporti tra la fattispecie in esame e gli altri delitti a tutela dell’autorità giudiziaria o contro la fede pubblica: si pensi, in particolare, al rapporto tra l’art. 375 c.p. e il meno grave art. 374 c.p.

Concludono, pertanto, i giudici di legittimità che nel caso di specie difetta il dolo specifico: il ricorrente ha agito non al fine di sviare le indagini dal corso già intrapreso ma, all’esatto contrario, al fine di corroborare/consolidare tale corso.

Ne consegue l’annullamento, con rinvio ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio, della sentenza perché il reato di cui all’art. 375 c.p. non sussiste.

Con riferimento alle restanti doglianze il ricorso viene rigettato, derivandone l’irrevocabilità della responsabilità penale in ordine alle ipotesi di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.).

(…)

Dispositivo

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di cui all’art. 375 c.p. perché il fatto non sussiste; rigetta nel resto il ri-corso e dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna per la rideterminazione della pena del residuo reato. Visto l’art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile la sentenza relativamente alla responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 479 c.p.

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