
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
La condotta sanzionata dall’articolo 609-bis c.p. comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo (i.e. “repentino”), tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest’ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale.
Svolgimento del processo
Con ordinanza, il Tribunale del riesame, in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal GIP
– annullava la misura disposta dal GIP in riferimento ai capi B) (violenza sessuale aggravata) e C) (atti persecutori), previa riqualificazione degli stessi in violazione dell’articolo 660 c.p., riqualificati questi ultimi in violazione dell’ultimo comma dell’articolo 609-bis c.p.;
– sostituiva, in relazione ai capi A) e D), in relazione ai quali confermava la sussistenza della gravità indiziaria, la misura degli arresti domiciliari con il regime cautelare cumulativo rappresentato dal divieto di dimora nel territorio della regione e dalla misura interdittiva del divieto di esercitare uffici direttivi presso persone giuridiche e imprese per la durata di mesi dodici.
Avverso tale ordinanza propongono ricorso sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino che l’indagato.
Il ricorso del Procuratore della Repubblica.
Con il primo e con il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e assenza di motivazione in ordine al reato di cui all’art. 609-bis cod. pen.
Evidenzia in primo luogo come l’ordinanza non consideri il distretto corporeo attinto dalla condotta dell’indagato, aspetto decisivo che risulta totalmente negletto dal Tribunale, che affronta tutti i fatti contestati in termini generali, declassando il reato contestato in quello di molestie sessuali senza operare distinzione alcuna sulla base di criteri oggettivi, bensì unicamente enfatizzando il dato caratteriale (soggetto espansivo) e geografico (meridionale) dell’indagato.
Confonde quindi, in un unico contenitore, i contatti avvenuti corpore corpori su zone erogene, su zone non direttamente erogene e condotte che non sono consistite in contatti corporei, che sono state oggetto di contestazione solo sotto il profilo dell’articolo 612-bisc.p.-
Evidenzia come la giurisprudenza della Cassazione, in caso di toccamenti non casuali, si sia posta il problema della natura tentata o consumata del reato di cui all’articolo 609-bis c.p., ma non certo della sussistenza della contravvenzione di cui all’articolo 660 c.p., limitata ai casi di assenza di contatto.
Inoltre, pur sottolineando la necessità, laddove il contatto abbia per oggetto zone non erogene, di una analisi di contesto, l’ordinanza impugnata non la opera, omettendo di valorizzare circostanze fondamentali quali:
- il contesto accademico, e non certo amicale, in cui le condotte sono state perpetrate, in cui l’indagato si trovava in una posizione di superiorità gerarchica ed era in grado di influenzare la vita lavorativa delle specializzande;
- la totale assenza di un rapporto biunivoco di confidenza, preteso abusivamente dall’indagato ma mai concesso dalle persone offese;
- le reazioni delle persone offese e l’impatto emotivo cagionato alle stesse (degradato a mera “interpretazione retrospettiva”);
- il fatto che le condotte fossero spesso poste in essere di fronte a medici strutturati e specializzandi maschi, a testimonianza della finalità di umiliazione delle condotte, che, seppure estranea al tipo legale, ne colora l’intensità del dolo.
Né è stato poi considerato che, in numerose occasioni, l’atto è stato realizzato in modo insidioso e rapido.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in riferimento alla contestata accusa di atti persecutori di cui al capo C).
Il Tribunale del riesame esclude la sussistenza del reato ritenendo che condotte non siano state sistematicamente e preordinatamente persecutorie, né in grado di alterare le abitudini di vita delle persone offese, non potendosi considerare tale la precauzione di non indossare abiti particolarmente succinti.
Motivi della decisione
(…)
Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:
– in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, così come la motivazione del Tribunale del riesame può integrare e completare la motivazione elaborata dal giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo, quest’ultima ben può, a sua volta, essere utilizzata per colmare le eventuali lacune del successivo provvedimento; infatti, trattandosi di ordinanze complementari e strettamente collegate, esse, vicendevolmente e nel loro insieme, connotano l’unitario giudizio di sussistenza in ordine ai presupposti di applicabilità della misura cautelare. Il provvedimento del Tribunale del riesame integra e completa quello del giudice che ha emesso l’ordinanza applicativa, purché questa contenga le ragioni logiche e giuridiche che ne hanno determinato l’emissione, con la mera esclusione (del caso in cui il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico oppure ove, pur esistendo materialmente una motivazione, essa si risolva in clausole di stile o in una motivazione meramente apparente e cioè tale da non consentire di comprendere l’itinerario logico-giuridico esperito dal giudice.
– rientra nell’accezione di atto sessuale, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609-bis c.p., non soltanto ogni forma di congiunzione carnale, ma altresì qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgente la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente e l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale.
Ed infatti, essendo il reato in esame posto a presidio della libertà personale dell’individuo, che deve poter compiere o ricevere atti sessuali in assoluta autonomia e nella pienezza dei propri poteri di scelta contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, tale configurazione si riflette necessariamente sulla natura dell’atto in cui si estrinseca la condotta materiale dell’agente, avuto riguardo alla sua ambivalenza che, al di là dell’intendimento perseguito dal suo autore, ricade comunque sulla vittima.
È perciò dalla stessa natura del bene giuridico protetto che deve ricavarsi la natura sessuale del gesto tutte le volte in cui lo stesso, pur concretizzandosi in un contatto corporeo, attinge parti che non necessariamente rientrano in quelle tradizionalmente definite come erogene (ove la natura sessuale dell’atto è indiscussa), essendo la sfera della sessualità, che non resta confinata sul piano strettamente fisico ma involge anche la sfera psichica e quella emotiva, suscettibile di modularsi diversamente in relazione ai valori del comune sentire che si consolidano nello specifico contesto storico, culturale e sociale di riferimento.
Oltre agli atti di inequivoca valenza sessuale in ragione delle parti corporee coinvolte (zone genitali o comunque erogene) esiste, nella realtà fenomenica, una zona grigia comprensiva di quegli atti che, per il loro carattere ambivalente (ovverosia per le diverse finalità di cui possono essere, in astratto, espressione), che ne impone una necessaria opera di decodificazione.
In tali casi, la riconducibilità alla dimensione sessuale degli atti rivolti al soggetto passivo, deve costituire oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l’azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.
Conclusivamente, per decifrare il significato di atto sessuale è necessario fare riferimento sia ad un criterio oggettivistico-anatomico (parti del corpo attinte) e sia ad un criterio oggettivistico-contestuale, che tenga conto cioè del contesto di azione, in maniera che dalle modalità della condotta nel suo complesso e da altri elementi significativi si accerti se vi sia stata o meno una indebita compromissione della libera determinazione della sfera sessuale altrui.
In relazione alle modalità di estrinsecazione della condotta, si evince come l’espressione atti sessuali comprenda tutti quegli atti che (tramite violenza, minaccia, induzione o abuso di autorità) siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale.
Il concetto di violenza, in particolare, ricomprende al suo interno non solo le esplicazioni di energia fisica direttamente realizzate sulla persona offesa e volte a vincere la resistenza opposta dalla stessa, ma anche qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, in tal modo costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà.
Il delitto in esame, inoltre, non necessita di una violenza tale da porre il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre resistenza, essendo sufficiente che l’azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà-contraria della vittima.
Ne consegue che, in tema di violenza sessuale, vanno considerati atti sessuali anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente come palpamenti, sfregamenti, baci.
Non si richiede pertanto che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata e che, di conseguenza, l’invasione della sera sessuale non sia voluta dalla vittima.
Invece, per i c.d. toccamenti, vale il principio secondo il quale questi debbano considerarsi atti idonei in modo non equivoco (e quindi integranti il delitto tentato di violenza sessuale) a ledere la libertà sessuale della vittima ove riguardino parti corporee diverse da quelle genitali od erogene allorché, per cause indipendenti dalla propria volontà (pronta reazione della vittima o per altre ragioni), l’agente non riesca a toccare la parte corporea intima della persona presa di mira ovvero non abbia provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime.
Il discrimen esistente tra la fattispecie di violenza sessuale tentata e quella consumata è costituito dalla concreta intrusione dell’agente nella sfera sessuale della vittima, arrestandosi il fatto allo stadio di tentativo solo nel caso in cui la materialità degli atti – pur giudicati idonei ad inserirsi in una serie causale indirizzata in modo non equivoco alla commissione del reato in questione -non sia pervenuta sino al contatto fisico con il corpo della vittima.
Nell’ambito del tentativo di violenza sessuale, inoltre, la prova della specifica finalità perseguita dall’aggressore può essere desunta da elementi esterni alla condotta tipica e sussiste anche quando, pur in assenza di un contatto fisico tra imputato e vittima, la condotta assunta risulti sintomatica dell’intenzione di appagare i propri istinti sessuali.
Diversa è la qualificabilità del fatto allorquando si tratti del bacio, che di per sé può comportare, indipendentemente dalla zona corporea che viene attinta, il coinvolgimento della dimensione sessuale della vittima atteso il diverso significato e la conseguente valenza che è suscettibile di assumere nel rapporto interpersonale, e che pertanto rientra, valutato il contesto di riferimento, nel delitto in esame nella forma consumata.
– la Corte ha quindi affermato i seguenti principi di diritto:
- la condotta sanzionata dall’articolo 609-bis c.p. comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo (i.e. “repentino”), tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest’ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale. La valenza sessuale del contatto è indiscussa e indiscutibile ove si tratti di organi genitali o zone erogene (ivi comprese le labbra, sia della vittima che dell’agente di reato), mentre, negli altri casi, sarà frutto di un accertamento di fatto che tenga conto del contesto sociale e culturale in cui l’azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante;
- l’atto deve essere definito come sessuale sul piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell’agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l’atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude;
- il delitto di violenza sessuale si esprime in forma tentata quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo si estrinseca nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere, con violenza o minaccia, il soggetto passivo a subire atti di valenza sessuale, accompagnato dal requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, e non la mera tranquillità della stessa;
- il reato di molestia sessuale (art. 660 c.p.), è invece integrato solo in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall’abuso sessuale, ove lo “sfondo sessuale” costituisce soltanto un motivo e non un elemento della condotta.
– Come noto, con la locuzione molestie sessuali la legislazione civilistica intende quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Sotto il profilo penalistico, dette molestie sessuali possono concretizzare il reato di molestie di cui all’articolo 660 c.p., ovvero di atti persecutori (o stalking) di cui all’articolo 612-bis c.p.-
Il criterio distintivo tra i due reati non consiste tanto nella condotta dell’agente di reato, che può essere la medesima, bensì nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta, sicché si configura il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. solo qualora alle condotte molestatrici acceda uno degli eventi tipici del delitto di stalking (i.e. quando le condotte siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita), mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p.. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.
– il ricorso proposto dall’indagato è stato ritenuto infondato.
(…)
Dispositivo
Accoglie il ricorso del pubblico ministero e per l’effetto annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai capì B) e C) con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Torino in diversa composizione.
Rigetta il ricorso proposto dall’indagato, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale.