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Cass. Pen., sez. IV, ud. 10 settembre 2024 (dep. 16 settembre 2024), n. 34771*

- 22 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, la valutazione in ordine alla specifica destinazione della sostanza per la futura cessione a terzi da parte del giudice di merito può ricomprendere, anche, la valorizzazione del dato oggettivo consistente nel tentativo di fuga del reo alla vista delle forze dell’ordine, atteso che la finalità di cessione nei confronti di terzi deve essere desunta tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive, secondo parametri di apprezzamento che sono sindacabili in sede di legittimità solo sotto il profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Svolgimento del processo 

Fuggire dalle forze dell’ordine dimostra che l’eventuale sostanza stupefacente detenuta fosse destinata a terzi?

Per un giurista, la risposta è immediatamente negativa, poiché una tale asserzione erigerebbe un automatismo valutativo precluso quando si deve giudicare un fatto.

Questo interrogativo consente di avere un approccio consapevole alla nota che si intende analizzare, poiché si mira propria a comprendere quale possa essere l’incidenza della condotta di chi decide di tentare la fuga dalle forze dell’ordine qualora – poi – venga sorpreso a detenere sostanze stupefacenti.

La vicenda trae origine da una condanna inflitta a un imputato per il delitto previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.

La sentenza veniva confermata dalla Corte d’appello.

In punto di fatto, l’imputato veniva sorpreso in possesso di 118 grammi di sostanza stupefacente di tipo marijuana e altri 60 grammi occultati nella propria autovettura.

Dalla lettura della pronuncia si evincono i dati salienti della dinamica.

L’imputato, alla vista dei Carabinieri, si dava alla fuga con la propria auto: dopo essere stato intercettato, veniva sottoposto a perquisizione personale e domiciliare ai sensi dell’art. 103 d.P.R. n. 309/90; il mezzo di ricerca della prova consentiva di rinvenire della sostanza stupefacente e, dentro il proprio garage, un bilancino di precisione.

Per tale ragione, veniva tratto in arresto.

Dopo la conferma della condanna, l’imputato proponeva tempestivo ricorso per cassazione.

Per il costrutto difensivo, la sostanza stupefacente era stata detenuta al sol fine di farne uso personale, escludendo di tal guisa la rilevanza penale della condotta e integrando, invece, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 75 d.P.R. n. 309/90.

Per il ricorrente, la Corte d’appello aveva travisato la prova dichiarativa e documentale; segnatamente:

  • le dichiarazioni rese dallo stesso indagato, all’atto della convalida della misura precautelare, dimostravano come fosse assuntore di sostanza stupefacente;
  • il bilancino rinvenuto durante la perquisizione apparteneva alla madre che la usava per il confezionamento dei salumi e che era, tra l’altro, usata anche per le campionature della canapa industriale prodotta dall’imputato.

Con un secondo motivo deduceva plurime violazioni di legge e vizi di motivazione in ordine alla asserita destinazione a terzi dello stupefacente.

In particolare, alla declaratoria di responsabilità penale si era giunti grazie una serie di indizi consistiti:

  • nel quantitativo di droga sequestrata;
  • nella presenza nel garage di una bilancia di precisione;
  • nella fuga alla vista delle Forze dell’ordine;
  • nell’occultamento della sostanza stupefacente.

Per l’imputato “Si tratta dell’effetto di un travisamento del dato processuale. L’argomento secondo il quale l’imputato, essendo imprenditore, ha possibilità di maggiori contatti con soggetti ai quali cedere lo stupefacente si pone in contrasto con l’affermazione che la droga non poteva essere una scorta per il A.A. che, avendo disponibilità economica, poteva acquistare quantitativi non necessariamente modesti”.

Con un terzo motivo, veniva contestata la tenuta logica della motivazione nella parte in cui dalla fuga dell’imputato, alla vista del personale di polizia giudiziaria, il giudizio di merito aveva (anche) desunto la destinazione allo spaccio, senza considerare le conseguenze che anche solo sul piano amministrativo la condotta poteva tendere ad evitare.

Motivi della decisione

(…)

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per giurisprudenza costante, la valutazione circa la destinazione a terzi dello stupefacente deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive, secondo parametri di apprezzamento che sono sindacabili in sede di legittimità solo sotto il profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Cass. pen., Sez. VI, 13 novembre 2008, n. 44419).

Inoltre, la destinazione della droga a fini di spaccio può essere ricavata da elementi oggettivi univoci e significativi quali il notevole quantitativo della droga e la relativa modalità di detenzione (Cass. pen., Sez. IV, 4 giugno 2003, n. 36755).

Su queste solide coordinate ermeneutiche, i giudizi di merito risultano aver dato ampia contezza delle motivazioni per cui è stata ritenuta integrata la fattispecie ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, in luogo della destinazione per uso personale della droga sequestrata.

Nella specie, è stato ritenuto rilevante non solo il dato quantitativo della sostanza stupefacente rivenuta, da cui era possibile ricavare ben 468 dosi, ma anche le modalità di occultamento, la disponibilità del bilancino posto all’ interno di un garage, all’ interno del quale non risulta che venissero effettuate operazioni afferenti al confezionamento della canapa che l’imputato coltiva e vende.

Va soggiunto che per la Cassazione risulta del tutto coerente e logico accentuare il tentativo di fuga alla vista dei Carabinieri ed elevarlo a ulteriore dato oggettivo idoneo a suffragare la sussistenza del delitto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309/90.

L’imputato, infatti, alla vista del personale di polizia giudiziaria imboccava contromano una rotatoria e si dava alla fuga per un chilometro salvo poi essere poi costretto a rallentare allorquando si trovava innanzi una autovettura che procedeva a velocità moderata.

Per la Cassazione: “tutti elementi valutati ed apprezzati al fine di pervenire con criteri logici e congrui alla conclusione della destinazione a terzi dello stupefacente”.

(…)

Dispositivo

Dichiara inammissibile il ricorso.

Questa la statuizione della Cassazione.

Nel corso della continua produzione giurisprudenziale, è stata pubblicata un’altra pronuncia particolarmente importante, perché conferma quanto ciò indicato dalla S.C. nell’annotata sentenza.

Si tratta di Cass. pen., Sez. III, 1° ottobre 2024, n. 36481.

Il fatto è molto simile e vede un imputato condannato sempre per il delitto ex art. 73 d.P.R. n. 309/90, perché passeggero in un’auto il cui conducente, durante un controllo, era stato sorpreso in possesso di 92,4 grammi di marijuana.

A monte della condanna, il Tribunale aveva valorizzato il fatto che il personale di polizia giudiziaria lo avesse “descritto nervoso”.

La Corte d’appello aveva condiviso le valutazioni del Tribunale: “l’imputato, che era seduto al lato passeggero, sulla base dell’atteggiamento

nervoso al momento del fermo e sulla base del precedente specifico di recente commissione”.

Per la Cassazione, la motivazione è debole.

Ritiene il Collegio che la motivazione sia congetturale perché ha valorizzato una circostanza, l’atteggiamento nervoso, di ambigua lettura, perché inerente allo stato soggettivo dell’imputato e alla non prevedibilità delle reazioni individuali rispetto a situazioni particolari, nonché il precedente, che non può essere interpretato in modo causalmente sinergico rispetto al reato contestato.

La sostanza rinvenuta non era nella materiale disponibilità dell’imputato (passeggero) e pertanto sulla base della motivazione resa non vi erano elementi per ritenere la sicura responsabilità di costui.

Per la S.C. è infatti necessario accertare in modo rigoroso se l’imputato possa essere considerato responsabile dello stupefacente del conducente, considerato che questi era anche il proprietario del veicolo nonché il guidatore al momento del controllo.

La sentenza veniva quindi annullata con rinvio alla Corte d’appello.

Come si evince dalle sentenze analizzate, per attribuire la responsabilità per l’art. 73 d.P.R. n. 309/90 non basta elevare a indizio chiave un solo dato oggettivo, ma è necessaria una ponderata valutazione dell’interezza del fatto che deve, così, tradursi in una motivazione logica e ben argomentata.

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