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Cass. Civ., sez. III, ud. 3 aprile 2024 (dep. 2 settembre 2024), n. 23471

- 14 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

L’art. 2041 c.c. pone come elementi costitutivi, a fondamento della domanda di ingiustificato arricchimento, la correlazione, in virtù di un nesso di causalità, tra il depauperamento patrimoniale di un soggetto e l’arricchimento patrimoniale di altro, nonché il fatto che l’attribuzione patrimoniale sia priva di causa. Pertanto, non si rientra nella fattispecie dell’ingiustificato arricchimento se il trasferimento patrimoniale è conseguenza di un contratto, di un atto di liberalità o dell’adempimento di una obbligazione naturale. Ne deriva, sul piano processuale, che la deduzione dell’adempimento di una obbligazione naturale quale causa giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale configura una mera difesa, non un’eccezione, sicché essa non è soggetta al regime delle preclusioni dettate per il dispiegamento di quest’ultima.

Svolgimento del processo 

Una breve nota introduttiva.

L’ingiustificato arricchimento è un istituto di giustizia commutativa che delinea un sistema di equità al di fuori del contratto.

L’art. 2041 c.c. ne individua i caratteri essenziali, quali l’arricchimento attivo o passivo di un soggetto correlato in modo diretto e immediato a un impoverimento a danno di un altro, in termini di danno vivo e materiale (danno emergente), che non trova giustificazione nella legge, nel contratto, o in una sentenza, e che – tendenzialmente – trae origine da un unico fatto generatore senza coinvolgere soggetti terzi.

Dell’obbligazione naturale, disciplinata dall’art. 2034 c.c., è utile ricordare che in passato era considerata un’obbligazione imperfetta, degenerata, e che oggi non viene considerata come obbligazione, in quanto trova fonte in doveri morali e sociali o in altri doveri per cui la legge non accorda azione.

Non creando un vincolo giuridico è inidonea a produrre effetti giuridici, salvo quello della soluti retentio, previsto dall’ordinamento giuridico in virtù dell’adempimento spontaneo e proporzionato da parte di un soggetto capace di agire.

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione si occupa di chiarire taluni profili, anche processuali, inerenti al rapporto tra ingiustificato arricchimento e obbligazione naturale.

Venendo alla fattispecie in causa, parte attrice, assumendo un arricchimento senza causa ai suoi danni, chiedeva giudizialmente la condanna della controparte, sua coniuge separata, al pagamento di determinate somme di denaro, a titolo di rimborso dei maggiori importi dall’attore asseritamente versati per l’acquisto e la ristrutturazione di immobili acquistati in costanza di matrimonio e intestati in maniera non proporzionale ai rispettivi valori, nonché alla restituzione del prezzo di acquisto dei mobili in arredo alla casa coniugale, rimasti nella disponibilità della moglie.

Parte convenuta resisteva eccependo la prescrizione dell’azione di arricchimento senza causa e sostenendo l’infondatezza, altresì dispiegando domanda riconvenzionale per la condanna dell’attore al pagamento del corrispettivo della compravendita della quota di un immobile intestato all’attore, alla restituzione di canoni di locazione di immobili spettanti alla convenuta, al ritiro di beni mobili relitti dall’attore presso cespiti di proprietà convenuta.

Il Tribunale di Forlì rigettava tutte le domande proposte, sia in via principale che in via riconvenzionale.

Parte attrice proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Forlì, che veniva rigettato dalla Corte d’appello di Bologna.

Ricorreva per Cassazione l’attore, articolando il ricorso in tre motivi.

In particolare, con il primo motivo, sosteneva la violazione dell’art. 360, co. 1, num. 4, c.p.c. per avere la Corte d’appello di Bologna valutato tempestiva l’eccezione di ricorrenza di obbligazione naturale avanzata da parte convenuta in primo grado, e per la prima volta in comparsa conclusionale, senza aver opportunamente valutato il fatto che si trattasse di eccezione in senso stretto, proponibile solo dalla parte, e solo in comparsa di costituzione e risposta.

Con il secondo motivo, denunciava la falsa applicazione degli artt. 2033 e 2041 c.c., lamentando un’imprudente valutazione del materiale probatorio e una errata ricostruzione del fatto alla base della sussunzione della fattispecie concreta (acquisto immobile-rudere, ristrutturazione integrale con realizzazione di più unità immobiliari e divisione del compendio tra le parti, tuttavia in misura non equa) entro i confini della fattispecie giuridica delle obbligazioni naturali, ritenuta dallo stesso non pertinente non ricorrendone i presupposti, dovendosi invece qualificare come un’unica operazione negoziale immobiliare.

Con il terzo motivo, lamentava un vizio di omessa pronuncia – error in procedendo, violazione dell’art. 112 c.p.c. – e motivazione contraddittoria e apparente in relazione ai requisiti, da un lato, della presenza di una prestazione spontanea che trovava la sua giustificazione causale nella comunione di vita tra le parti e, dall’altro, della proporzionalità tra la prestazione eseguita dal solvens, il patrimonio di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare.

Si costituiva in giudizio la convenuta, resistendo con controricorso, in particolare eccependo l’esistenza del giudicato esterno sulle questioni oggetto del contendere (in primis, il fatto che il patrimonio dell’attore derivasse in parte dalla sottrazione di somme appartenenti alla convenuta per essersi il primo appropriato degli importi provenienti dalla vendita di immobili della seconda) per effetto delle sentenze, definitive, rese nel giudizio di separazione tra coniugi.

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ritiene non fondate le censure sollevate dal ricorrente.

Motivi della decisione

(…)

La Corte di Cassazione, in via preliminare, si sofferma sull’eccezione, di parte controricorrente, concernente l’esistenza del giudicato esterno, dichiarandola inammissibile per plurime ragioni:

  • la mera e generica deduzione della parte, di aver già sollevato l’eccezione in comparsa conclusionale di primo grado e in comparsa di costituzione e risposta, avanti alla Corte d’appello di Bologna, si pone in contrasto sia con il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione che impone la trascrizione per stralci essenziali o per passaggi d’interesse, sia con l’art. 366, co. 1, num.6 c.p.c., laddove prescrive che vada indicata la collocazione nel fascicolo d’ufficio o l’acquisizione nel giudizio di legittimità;
  • anche a voler ammettere la rituale proposizione dell’eccezione de quo, non essendosi pronunciata su di essa la sentenza impugnata, l’odierna controricorrente avrebbe dovuto proporre ricorso incidentale per violazione dell’art. 112 c.p.c., e non limitarsi a ribadire una argomentazione già sostenuta;
  • secondo orientamento consolidato, il giudicato esterno è valutabile direttamente e per la prima volta dalla Corte di legittimità solo in relazione a decisioni divenute definitive dopo la scadenza dei termini per il deposito di memorie di replica innanzi al giudice dell’appello, non sussistendo la preclusione dell’art. 372 c.p.c., essendosi esso realizzato dopo il termine ultimo di allegazione difensiva in grado di appello, con la conseguenza che, nella fattispecie in esame, l’eccezione sarebbe comunque inammissibile in quanto il giudicato si era formato in epoca anteriore alla definizione del giudizio di appello.

Passando all’esame dei motivi, la Corte affronta la questione della distinzione tra eccezione e mera difesa, laddove a venire dedotto è l’adempimento di un dovere morale o sociale, cioè l’adempimento di una obbligazione naturale.

In tal senso, la Corte individua il fatto costitutivo tipico della domanda di ingiustificato arricchimento nell’allegazione della mancanza di una legittima causa nel trasferimento patrimoniale che si innesca per il depauperamento di una parte a fronte del contestuale e connesso arricchimento dell’altra.

Sul concetto di “mancanza o ingiustizia della causa”, ribadisce il consolidato orientamento per cui tale circostanza non può essere invocata laddove l’arricchimento trovi titolo in un contratto, in un impoverimento remunerato, in un atto di liberalità ovvero nell’adempimento di un’obbligazione naturale.

Ne deriva che – osserva la Corte – a fronte di una domanda ex art. 2041 c.c., la deduzione della controparte circa l’esistenza di un’obbligazione naturale quale causa concreta dello spostamento patrimoniale altro non è che una prospettazione di una differente veste giuridica della vicenda fattuale ricostruita dalla parte, ergo una negazione del fatto costitutivo della domanda da intendersi come mera difesa – e non come eccezione, cioè come fatto estintivo, impeditivo o modificativo del diritto –, non soggetta ad alcun regime di preclusione.

Per tali ragioni, corretta è la qualificazione operata dal giudice della Corte territoriale nonché la conseguente esclusione della tardività del rilievo.

Successivamente, la Corte di Cassazione prosegue rilevando l’inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso.

Osserva, in primis, che la richiesta di una nuova valutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio di merito, diretta ad una diversa ricostruzione della questione di fatto rispetto a quella operata dal giudice di merito, è attività del tutto estranea alla natura e alla funzione del giudice di legittimità.

Ad abundantiam, rileva che l’indagine sulla esistenza di una obbligazione naturale piuttosto che di una operazione negoziale, concretizza un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, e non censurabile dal giudice di legittimità se non per motivazione insufficiente o contraddittoria.

Da ultimo, la Corte considera inconferente l’asserita violazione dell’art. 116 c.p.c., non avendo il giudice di merito disatteso la regola del libero apprezzamento delle prove né tantomeno violato eventuali deroghe a tale principio previste dalla legge. 

La Corte di Cassazione conclude dichiarando l’inammissibilità anche del terzo e ultimo motivo di ricorso.

Viene ribadito, infatti, come l’accertamento di natura fattuale circa la riconducibilità delle attribuzioni patrimoniali fra coniugi nel corso del matrimonio, nell’ambito dell’adempimento di una obbligazione naturale e purché nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza delle prestazioni, è compito del giudice del merito, in quanto espressione del principio di solidarietà, il cui vaglio è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti dei vizi motivazionali ex art. 360, co. 1, num. 5 c.p.c., vizi che la Corte non ritiene ivi provati dal ricorrente.

(…)

Dispositivo

Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio di legittimità.  

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