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Consiglio di Stato, sez. VII, ud. 9 luglio 2024 (dep. 19 settembre 2024), n. 7658

- 5 Novembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di bilanciamento tra il diritto di accesso agli atti amministrativi e la riservatezza di detti atti perché coperti dal segreto professionale, anche a voler ammettere un margine di relativa elasticità, nel caso di segreto opposto da un prestatore d’opera intellettuale, come lo psicologo, è legittimo il diniego di accesso in quanto rientrante tra i casi di esclusione previsti dall’articolo 24, comma 1, lett. a), della Legge n. 241/1990, a prescindere dalla presenza o meno di una formalizzazione della opposizione all’ostensione da parte del professionista. Ai sensi degli artt. 2239 c.c. e 33 della Costituzione, il segreto professionale è posto a tutela sia degli assistiti, sia dei prestatori d’opera intellettuale, la cui riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni espresse nel corso della relativa attività, verrebbe altrimenti compromessa.

Svolgimento del processo 

La sentenza in commento prende le mosse dal diniego di accesso documentale opposto dall’Amministrazione scolastica ai danni di una sua alunna, ivi appellante, avente a oggetto la relazione conclusiva di un “progetto benessere” avviato dalla scuola con riferimento alla classe di appartenenza dell’alunna, e la relazione della Prof.ssa, referente per il bullismo.

Nello specifico, durante la frequentazione della scuola superiore, un’alunna subiva, insieme ad un compagno, episodi di prepotenza e bullismo da parte di un altro compagno di classe che la portavano a chiedere dapprima un cambio di sezione al Dirigente Scolastico e, successivamente, a seguito del suo diniego, a trasferirsi presso un altro Liceo. Seguiva presentazione di una denuncia-querela da parte della madre della alunna, all’epoca dei fatti esercente la potestà genitoriale.

Come parte integrante la denuncia-querela, i genitori della alunna chiedevano di poter acquisire il verbale dell’assemblea di classe, la relazione della psicologa della scuola in seguito agli incontri in classe e della professoressa referente per il bullismo, con cui la classe aveva iniziato un percorso, adducendo alla base di tale domanda di accesso un proprio interesse difensivo.

Il Dirigente Scolastico emetteva un primo provvedimento di diniego della domanda di accesso in quanto atti endo-procedurali coperti da privacy. Seguiva un ulteriore riesame della domanda che determinava l’ostensione del verbale della riunione di classe, e un ulteriore diniego della domanda di accesso alla relazione del referente per il bullismo nonché della psicologa, in quanto avente ad oggetto documenti non previsti, sul presupposto che il T.U. di cui al D.lgs. n. 297/1994 non prevedeva la verbalizzazione degli incontri indicati.

A fronte di tali dinieghi, la madre dell’alunna e l’alunna proponevano ricorso al Tar, anche ai sensi dell’art. 116 c.p.a., lamentando che trattavasi di accesso difensivo e che, in ogni caso, la motivazione del diniego era illegittima in quanto il concetto di atto ostensibile doveva prescindere dalla qualificazione del documento richiesto come tipico o meno.

Si costituiva in giudizio l’Istituto Scolastico, sostenendo, in particolare, l’esistenza del segreto professionale preso atto che la relazione della psicologa era un atto di più ampio intervento relativo ad un progetto scolastico coinvolgente l’intera classe, autonomo ed indipendente rispetto ai fenomeni di bullismo occorsi.

Il Tar chiedeva chiarimenti sull’opposizione di tale segreto professionale da parte della Scuola, chiedendo di precisare se si fosse trattato di decisione autonoma dell’Istituto o se invece fosse intervenuta formale ed esplicita opposizione da parte della professionista.

La Scuola, con la nota a chiarimenti, precisava che, in passato, il segreto era stato opposto solo verbalmente dalla psicologa ma che, in questa circostanza, veniva formalmente rinnovato. 

Il Tar rigettava il ricorso sostenendo che l’opposizione del segreto professionale precludeva in radice l’esercizio del diritto di accesso, impedendo alcun tipo di bilanciamento con altri interessi.

Parte ricorrente proponeva appello contro la sentenza, chiedendone la sua riforma al Consiglio di Stato, articolando in un unico complesso motivo.

In particolare, sosteneva la violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli artt. 22, 23 e 24 della l. n. 241/1990, nonché di quelli ricavabili dagli artt. 1 e ss. del d.P.R. n. 184/2006 e dall’art. 11 del Codice di deontologia degli psicologi approvato con Legge 56/89.

In sostanza, censurava la decisione di primo grado per aver ritenuto, da un lato, insussistente l’interesse difensivo concreto ed attuale della parte ad ottenere la documentazione richiesta e, dall’altro, opponibile un segreto professionale che, di fatto, era stato dichiarato in via formale solo in un momento successivo al primo diniego.

Adduceva, inoltre, che l’unico motivo che avrebbe potuto ostare all’ostensione dei relativi atti avrebbe potuto essere l’opposizione dei contro-interessati titolari dei dati sensibili.

Rilevava, altresì, la natura non assoluta del segreto professionale, imposto dall’art. 11 del codice deontologico degli psicologi, rispetto al diritto di accesso, espressamente derogabile ex art. 12 del codice cit., a maggior ragione allorquando l’attività professionale sia fuoriuscita dal rapporto con il singolo, per inserirsi in una più ampia attività procedimentale condotta dalla Pubblica amministrazione, stante la ratio del segreto volta a tutelare l’assistito e il suo rapporto con lo psicologo, e non direttamente quest’ultimo.

Pertanto, sostiene l’appellante, si sarebbe potuto ovviare alle potenziali lesioni degli interessi sensibili di terzi presenti nell’atto, attraverso l’utilizzo dei necessari omissis nella documentazione richiesta.  

Non si costituiva in giudizio l’Istituto Scolastico appellato.  

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ritiene infondate le censure sollevate dall’appellante.

Motivi della decisione

(…)

Il Consiglio di Stato evidenzia la centralità ricoperta dal segreto professionale della psicologa rispetto alla relazione e all’intervento sul gruppo degli alunni.

In primis, viene evidenziato che, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. a) della l. n. 241/1990, il diritto di accesso è escluso, tra gli altri, nei casi di segreti e di divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge, sicché trattandosi di previsione legale, espressa ed inderogabile, il segreto professionale della psicologa, certamente rientrante nella fattispecie astratta, non poteva essere oggetto di ostensione attraverso la relazione detenuta dalla amministrazione. 

Pertanto, osservano i Giudici di Palazzo Spada, l’opposizione rappresentata dalla professionista, dapprima informalmente, e solo successivamente in via formale, perde di rilevanza a fronte del divieto previsto ex lege.

Relativamente ad altra censura formulata in appello, viene osservato che l’appellante omette di considerare un aspetto fondamentale della funzione e della attività professionale dello psicologo e cioè che il suo intervento, sempre più di frequente, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, si rivolge nei confronti di un gruppo ristretto di individui, al fine di meglio orientare le relazioni dei singoli fra loro, dei singoli con il gruppo e del gruppo con i singoli.

Ne deriva che, nel caso di specie, il consenso del singolo componente del gruppo o, addirittura, il consenso eventualmente espresso da tutti i componenti del gruppo oggetto dell’intervento terapeutico, giammai avrebbe potuto sollevare il professionista dall’obbligo di riservatezza.

Al riguardo, è utile precisare che, ai sensi degli artt. 33 della Costituzione e 2239 c.c., il segreto professionale è posto a tutela sia degli assistiti, sia dei prestatori d’opera intellettuale, la cui libertà di scienza e la riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni espresse nel corso dell’attività professionale svolta, devono essere necessariamente tutelate.

(…)

Dispositivo

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e compensa le spese del grado.

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