
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza n. 8352, pubblicata in data 18 ottobre 2024, ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale, ormai radicato, secondo cui “qualora la stazione appaltante abbia ritardato a rendere conoscibili gli atti richiesti, il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso rimane del tutto integro e inizia a decorrere dalla data di effettiva ostensione degli stessi, operando – in questo caso – non già il meccanismo della “dilazione temporale”, bensì quello della “concessione di un nuovo termine” di trenta giorni, da calcolarsi, per intero, a decorrere dal momento dell’effettiva messa a disposizione della documentazione.”
Svolgimento del processo
La sentenza di cui in epigrafe affronta l’importante tema della decorrenza dei termini di impugnazione a seguito di proposizione di istanza di accesso agli atti e tardiva ostensione degli atti di gara da parte della Stazione Appaltante.
Il caso sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato ha ad oggetto l’impugnazione da parte della società Arcasensa Agostino s.a.s. dell’aggiudicazione disposta a favore dell’A.T.I. tra la Marottoli Costruzioni e Servizi s.r.l. (capogruppo), la Mancusi s.p.a. e la Edilia Costruzioni s.r.l., nell’ambito della gara indetta dalla Centrale Unica di Committenza Tito – C.U.C. Tito, per conto della Acquedotto Lucano s.p.a., finalizzata alla conclusione di un accordo quadro per l’affidamento dei lavori concernenti la realizzazione di camerette e la sostituzione di condotte nel territorio della Regione Basilicata.
All’esito delle operazioni di gara, la Stazione Appaltante con determina 31 ottobre 2023, n. 102, pubblicata sulla piattaforma telematica di negoziazione, in data 17 novembre 2023, ha disposto l’aggiudicazione del lotto B di cui alla gara in oggetto alla costituenda A.T.I. capeggiata dalla Marottoli Costruzioni e Servizi.
A seguito della conoscenza del provvedimento di aggiudicazione, l’Arcasensa Agostino (terza graduata) ha, quindi, formulato, in data 24 novembre 2023, istanza di accesso agli atti, alla quale la stazione appaltante ha dato riscontro, con l’ostensione della documentazione richiesta, il successivo 21 dicembre.
Alla luce dei documenti ottenuti l’Arcasensa Agostino ha ritenuto illegittima l’aggiudicazione del lotto B alla prima classificata, per cui l’ha impugnata con ricorso al T.A.R. Basilicata, notificato in data 22 gennaio 2024.
Di talchè, il TAR adito, con sentenza 23 aprile 2024, n. 217, ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto sul presupposto della piana tardività del ricorso formulato, poiché notificato successivamente ai trenta giorni decorrenti dalla data della comunicazione dell’esito di gara.
Di conseguenza, avverso la suddetta sentenza, l’Arcasensa Agostino ha proposto appello innanzi il Consiglio di Stato. Per resistere al ricorso si sono costituite in giudizio le società Acquedotto Lucano, Marottoli Costruzioni e Servizi, Mancusi ed Edilia Costruzioni.
Con successive memorie le parti costituite hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 10 ottobre 2024 la causa è passata in decisione.
Motivi della decisione
(…)
Nel merito, parte appellante, col primo motivo di appello denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel dichiarare irricevibile il ricorso, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla data della pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione.
Nello specifico, il giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto del mancato rispetto, da parte della stazione appaltante, del termine di quindici giorni – previsto dall’art. 76, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – per l’ostensione degli atti di gara oggetto della richiesta di accesso, formulata, invece, dall’ appellante, entro i quindici giorni dalla pubblicazione del suddetto provvedimento di aggiudicazione.
Di conseguenza, il Tribunale, nel caso di specie, avrebbe dovuto applicare il principio in base al quale, qualora la stazione appaltante abbia ritardato a rendere conoscibili gli atti richiesti, il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso rimane del tutto integro e inizia a decorrere dalla data di effettiva ostensione degli stessi, operando – in questo caso – non già il meccanismo della “dilazione temporale”, bensì quello della “concessione di un nuovo termine” di trenta giorni, da calcolarsi, per intero, a decorrere dal momento dell’effettiva messa a disposizione della documentazione.
Sulla base di quanto analiticamente argomentato da parte appellante, il supremo collegio ha accolto la doglianza sollevata.
Nello specifico, dopo aver precisato che la procedura de qua ricade nell’ambito di applicazione della disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, approvato col D. Lgs. 31 marzo 2023, passa in rassegna le norme di cui all’art. 209, comma 1, lett. a), e comma 2, l’art. 90, comma 1 e, in ultimo, l’art. 36 del medesimo codice.
Ebbene, tale ultimo articolo, prevede espressamente che «l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90».
Dunque, afferma il collegio: «in base alla trascritta disciplina processuale, il dies a quo del termine decadenziale stabilito per l’impugnazione degli atti di gara, coincide, dunque, con quello in cui l’interessato acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti che lo ledono».
Per costante giurisprudenza, tale normativa ha il fine, evidente, di evitare i c.d. ricorsi “al buio” e si pone, peraltro, in linea con l’orientamento espresso dal legislatore sovranazionale, a tenore del quale «i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati».
Inoltre, secondo la giurisprudenza formatasi nella vigenza del precedente codice, quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare l’aggiudicazione decorre, per intero, dal momento dell’effettiva ostensione dei documenti richiesti. Infatti, la proposizione tempestiva dell’istanza d’accesso agli atti di gara (avanzata, cioè, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione) comporta una dilazione temporale del termine per ricorrere pari a quindici giorni.
Stante quanto innanzi, il Collegio conclude dando evidenza di come, a seguito della tempestiva richiesta di accesso agli atti avanzata dalla seconda graduata, formulata entro i quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione, la Stazione Appaltante ha effettivamente messo a disposizione della società istante tutti gli atti del procedimento di gara oltre il termine assegnato all’amministrazione per rispondere.
Di conseguenza, sulla base della normativa vigente e dei principi enucleati tanto dalla giurisprudenza nazionale quanto dal legislatore sovranazionale, ne consegue che il termine per impugnare non poteva iniziare a decorrere se non dalla effettiva ostensione della documentazione oggetto dell’istanza di accesso, avvenuta in data 21 dicembre 2023.
Alla luce di tali evidenze, il ricorso di primo grado, notificato in data 22 gennaio 2024 doveva, quindi, considerarsi tempestivo, tenuto conto che il giorno 20 gennaio cadeva di sabato.
In ultimo, il Collegio passa in rassegna le censure prospettate in primo grado, che il Tribunale non ha esaminato e che sono state ritualmente riproposte, rilevando il venir meno dell’interesse all’esame delle doglianze rivolte nei confronti dell’aggiudicataria, sul presupposto che nessuna delle censure dedotte nei confronti della seconda classificata risulta supportata da elementi di prova.
Dunque, dalle esposte considerazioni, il Consiglio di Stato rileva l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto d’interesse e, di conseguenza, respinge l’appello proposto confermando la sentenza gravata con diversa motivazione.
(…)
Dispositivo
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
In ultimo, compensa tra le parti le spese giudiziali del doppio grado.