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Tribunale di Roma, sentenza n. 45593/2024: Nullità dell’accordo globale per separazione e divorzio e violenza morale come vizio della volontà

- 29 Novembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Analisi giuridica e impatti sul quadro normativo. 5. Conclusioni

Massima

Gli accordi stipulati in sede di separazione coniugale che contestualmente regolano condizioni di divorzio sono nulli per illiceità della causa. La violenza morale, accertata in sede giudiziale, costituisce vizio della volontà sufficiente a invalidare accordi patrimoniali sfavorevoli e coercitivi.[1] Tale principio, fondato sugli artt. 1434 e 1435 c.c., trova ampio riscontro nella giurisprudenza e nella dottrina giuridica.[2]

Svolgimento del processo

La vicenda oggetto di giudizio si inserisce in un contesto complesso e delicato, in cui le dinamiche familiari e patrimoniali si intrecciano con problematiche giuridiche di grande rilievo. Una coniuge ha convenuto in giudizio l’ex partner per ottenere la nullità di un cosiddetto “accordo globale”, sottoscritto da entrambi nel corso delle trattative per la separazione consensuale. Questo accordo, che regolava sia le condizioni della separazione sia quelle di un eventuale divorzio futuro, prevedeva clausole economiche fortemente penalizzanti per l’attrice, inclusa la cessione di quote societarie senza congruo corrispettivo. La domanda di nullità è stata estesa anche al decreto di omologazione della separazione consensuale, ritenendo che le condizioni patrimoniali fossero state concordate in violazione dei principi giuridici applicabili.

Nel corso del procedimento, sono emersi elementi che hanno ulteriormente complicato il quadro: l’attrice ha infatti dedotto di essere stata costretta a sottoscrivere l’accordo in un momento di particolare vulnerabilità personale e psicologica[3], aggravata dalla pressione esercitata dal coniuge attraverso minacce esplicite. La parte convenuta, dal canto suo, ha negato qualsiasi forma di coercizione, sostenendo che l’accordo fosse il frutto di una negoziazione equa, condotta con l’assistenza di legali di elevata competenza. Tuttavia, le prove testimoniali e documentali raccolte nel corso del processo, unite ai risultati di una consulenza tecnica d’ufficio, hanno confermato il quadro di soggezione psicologica in cui si trovava l’attrice al momento della stipula degli accordi.[4]

A seguito di una lunga istruttoria, il Tribunale ha esaminato attentamente sia gli aspetti formali e sostanziali degli accordi sottoscritti, sia la posizione delle parti nel contesto delle dinamiche familiari e patrimoniali. La decisione è stata presa alla luce dei principi di diritto civile e familiare, con particolare riferimento alla tutela dei soggetti economicamente e psicologicamente più deboli.

Questo approccio ha consentito al Tribunale di affrontare una problematica di ampio respiro, fornendo una risposta giuridicamente solida a un caso emblematico di potenziale abuso di potere contrattuale in ambito familiare.

Motivi della decisione

Il Tribunale ha motivato la propria decisione su due principali pilastri giuridici: da un lato, la nullità dell’accordo globale per illiceità della causa e, dall’altro, l’annullabilità di alcune clausole per vizio della volontà causato da violenza morale. Per quanto concerne la nullità, è stato richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli accordi stipulati in sede di separazione non possono includere condizioni relative a un futuro ed eventuale divorzio. Tali accordi, infatti, violano il principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, sancito dall’art. 160 c.c.[5], e compromettono la libertà negoziale dei coniugi nel successivo giudizio di divorzio, come già ribadito dalla Cassazione, la tutela di tali diritti non consente deroghe contrattuali.[6] Questa impostazione, confermata da numerose pronunce della Cassazione (tra cui Cass. civ., n. 20745/2022), è stata considerata pienamente applicabile al caso di specie.

Sotto il profilo del vizio della volontà, il Tribunale ha accolto le deduzioni dell’attrice, che ha denunciato un clima di coercizione psicologica esercitata dal coniuge attraverso minacce di natura personale e patrimoniale. Dalla prova testimoniale e documentale è emerso che la parte convenuta avrebbe utilizzato la propria posizione di forza economica e sociale per indurre l’attrice ad accettare condizioni particolarmente sfavorevoli, minacciando conseguenze gravi, tra cui la perdita della potestà genitoriale. La consulenza tecnica d’ufficio ha inoltre confermato uno stato di fragilità psicologica della parte attrice, aggravato dalle difficoltà economiche e dalla separazione forzata dai figli. Tali elementi hanno permesso di qualificare le minacce come violenza morale ai sensi degli artt. 1434 e 1435 c.c., integrando così un vizio della volontà sufficiente a giustificare l’annullamento delle clausole patrimoniali dell’accordo.[7]

Il Tribunale ha altresì sottolineato che la violenza morale non si limita a minacce esplicite, ma comprende anche pressioni indirette e situazioni di soggezione psicologica, soprattutto quando il soggetto passivo si trova in una condizione di particolare vulnerabilità.

In questo caso, la combinazione di fattori personali, economici e familiari ha reso evidente l’esistenza di un abuso di posizione dominante da parte del coniuge, giustificando l’intervento del giudice per tutelare l’autonomia contrattuale dell’attrice.

Analisi giuridica e impatti sul quadro normativo

La sentenza in commento rappresenta un punto di svolta nell’applicazione pratica dei principi di nullità e annullabilità degli accordi familiari, con importanti implicazioni per il diritto di famiglia[8]. In particolare, il Tribunale ha sottolineato come il principio di indisponibilità trovi oggi una nuova dimensione nel contesto della riforma Cartabia.[9] Sul piano della nullità per illiceità della causa, il Tribunale ha ribadito la centralità del principio di radicale indisponibilità dei diritti matrimoniali. Questo principio trova una sua nuova dimensione nell’attuale contesto normativo, grazie all’introduzione della riforma Cartabia, che ha modificato il codice di procedura civile consentendo il cumulo di domande di separazione e divorzio. Tuttavia, come evidenziato nella sentenza, la riforma non può in alcun modo legittimare pattuizioni che comprimano i diritti fondamentali delle parti o che siano stipulate in violazione delle norme inderogabili.

La decisione offre inoltre spunti di riflessione sul tema dei vizi del consenso nei negozi giuridici familiari. Pur essendo consolidata l’estensione delle regole contrattuali ai negozi di diritto familiare, questa sentenza ne evidenzia l’importanza come strumento di tutela contro abusi e coercizioni.[10] La violenza morale, in particolare, viene analizzata in modo approfondito, dimostrando come anche fattori psicologici e sociali possano incidere sulla libertà negoziale. Tale approccio è particolarmente rilevante in un contesto giuridico in cui le dinamiche di potere tra le parti possono essere fortemente asimmetriche.

Infine, la sentenza sottolinea l’importanza del controllo giudiziale nei procedimenti familiari, non solo per garantire la legittimità degli accordi, ma anche per proteggere i soggetti più vulnerabili. Questo controllo, già riconosciuto come essenziale in materia di diritti indisponibili, viene qui esteso alle clausole patrimoniali, ponendo un importante limite all’autonomia contrattuale in un ambito particolarmente sensibile.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante contributo alla giurisprudenza in materia di diritto di famiglia, rafforzando la tutela dei soggetti deboli e riaffermando principi fondamentali di giustizia ed equità. In particolare, la decisione ribadisce che l’autonomia contrattuale, pur essendo un pilastro del diritto privato, non può mai essere utilizzata per eludere norme imperative o per esercitare pressioni indebite su soggetti in condizione di vulnerabilità.

Questo caso sottolinea la necessità di un approccio equilibrato e rigoroso, che tenga conto sia della libertà negoziale delle parti sia della necessità di proteggere i diritti fondamentali. La decisione del Tribunale di annullare le clausole patrimoniali dell’accordo, pur mantenendo la validità delle disposizioni relative allo status e ai diritti dei figli, dimostra un’applicazione attenta e proporzionata dei principi giuridici. Allo stesso tempo, il riconoscimento di un risarcimento per danno non patrimoniale evidenzia l’importanza di garantire un ristoro adeguato per le sofferenze subite a causa di abusi contrattuali.

Alla luce di queste considerazioni, la sentenza offre un modello di giustizia che coniuga il rispetto delle regole con la sensibilità verso le esigenze delle persone coinvolte. Particolare attenzione è stata data alla necessità di garantire un risarcimento adeguato per le sofferenze derivanti da abusi contrattuali.[11] È auspicabile che decisioni di questo tipo continuino a guidare l’evoluzione del diritto di famiglia, contribuendo a creare un sistema più equo e inclusivo.

[1] La violenza morale come vizio della volontà è disciplinata dagli artt. 1434 e 1435 c.c., che prevedono l’annullamento di un contratto quando una delle parti subisce minacce idonee a incutere timore di danno ingiusto e rilevante.

[2] Per una trattazione approfondita del vizio della volontà come motivo di invalidità contrattuale, si veda G. Ferrando, Il diritto di famiglia in evoluzione, Milano, 2021, p. 318.

[3] L’importanza della tutela della parte più debole è centrale nella giurisprudenza italiana in materia familiare. Cfr. Cass. civ., Sez. I, n. 2111/2018, che ha riconosciuto il ruolo delle pressioni psicologiche come elemento determinante nella nullità degli accordi patrimoniali

[4] La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è frequentemente utilizzata per accertare stati di fragilità psicologica. Un approfondimento rilevante su questo tema si trova in G. Ferrando, Il diritto di famiglia in evoluzione, Milano, 2021, p. 324.

[5] L’art. 160 c.c. stabilisce che i diritti matrimoniali sono sottratti alla disponibilità delle parti, configurando un limite all’autonomia contrattuale. Si veda anche la recente giurisprudenza in materia, come Cass. civ., n. 15243/2023, che ribadisce la nullità delle clausole lesive di tali diritti.

[6] Per una sintesi del principio di indisponibilità dei diritti matrimoniali, si veda R. Tommasini, Autonomia contrattuale e limiti normativi nel diritto di famiglia, Napoli, 2020, pp. 89-92.

[7] L’annullamento di clausole contrattuali nei procedimenti di separazione trova precedenti rilevanti nella giurisprudenza italiana. Cfr. Tribunale di Milano, n. 4352/2020, in cui un accordo patrimoniale è stato dichiarato nullo per violazione della libertà contrattuale.

[8] Il diritto di famiglia italiano è stato profondamente influenzato dalla riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), che ha introdotto innovazioni nel processo civile e nei procedimenti familiari. Si veda L. Scalera, La riforma Cartabia e il diritto di famiglia, Napoli, 2023, pp. 45-67.

[9] La riforma Cartabia e il suo impatto sul diritto di famiglia sono analizzati in dettaglio in F. Carraro, Riforma del processo civile e diritti familiari, Roma, 2023, pp. 58-74.

[10] La tutela contro abusi nei negozi giuridici familiari è stata ampliata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha sottolineato l’importanza di garantire la parità tra le parti (CEDU, Sentenza n. 587/2019).

[11] Il risarcimento per danno non patrimoniale in ambito familiare è approfondito in V. Rossi, Responsabilità civile e famiglia: strumenti di tutela, Milano, 2022, pp. 132-139.

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