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Tribunale di Roma, Sentenza n. 5423/2024: Google condannata a rimuovere URL lesivi e a pagare le spese di lite

- 1 Dicembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Analisi giuridica ed impatto sul quadro normativo. 5. Conclusioni. 

Massima

Il diritto all’oblio prevale sull’indicizzazione di contenuti obsoleti e pregiudizievoli per la reputazione degli interessati. I motori di ricerca hanno l’obbligo di rimuovere i contenuti lesivi quando ciò è richiesto in conformità ai principi sanciti dal Regolamento GDPR e dalla giurisprudenza consolidata, anche in assenza di un intervento diretto dell’autorità giudiziaria. Questo principio, già sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza “Costeja” ( C-131/12), è stato recepito anche dalla giurisprudenza italiana in numerose pronunce recenti, rafforzando il quadro normativo europeo in materia.[1]

Svolgimento del processo

Il ricorso esaminato dal Tribunale di Roma nasce dalla richiesta di un soggetto, qui mantenuto anonimo, il quale aveva chiesto a Google di rimuovere dagli esiti delle ricerche relative al proprio nome i collegamenti a due URL contenenti notizie di cronaca giudiziaria ormai superate e pregiudizievoli per la sua reputazione. I fatti risalivano agli anni 2009-2010 e il relativo procedimento penale si era concluso con una dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Nonostante il ricorrente avesse inviato una richiesta formale di deindicizzazione a Google nel luglio 2022, questa venne respinta per presunta incompletezza della documentazione allegata[2]. Tale richiesta è strettamente connessa ai principi di protezione dei dati personali sanciti dal GDPR, in particolare l’art. 17, che delinea il diritto alla cancellazione dei dati.[3]

L’istanza giudiziaria è stata avviata successivamente alla mancata rimozione dei link. Google ha sostenuto di aver agito in conformità alla normativa sul trattamento dei dati personali, dichiarandosi obbligata a intervenire solo in presenza di una decisione espressa da parte di un’autorità giudiziaria o amministrativa. Durante il giudizio, tuttavia, è emerso che Google aveva precedentemente accolto richieste simili riguardanti la stessa vicenda. Questo elemento è stato decisivo per valutare la condotta della piattaforma e il ritardo nell’adempimento.

Nonostante la rimozione degli URL fosse avvenuta dopo la notifica del ricorso, il Tribunale ha sottolineato che tale comportamento tardivo costituisce una violazione del diritto all’oblio, già consolidato nella giurisprudenza europea e nazionale. La richiesta del ricorrente, pertanto, era pienamente legittima e avrebbe dovuto essere accolta immediatamente.

Motivi della decisione

Il Tribunale di Roma ha riconosciuto la violazione del diritto all’oblio da parte di Google, rilevando come l’inerzia della piattaforma abbia leso un diritto fondamentale dell’individuo.[4] Secondo il giudice, la piattaforma aveva già avuto modo di valutare, in casi analoghi, la sussistenza del diritto del ricorrente alla rimozione degli URL. Pertanto, non sussistevano giustificazioni per il ritardo nell’adempimento della nuova richiesta presentata nel luglio 2022.

Secondo il giudice, l’inerzia di Google ha leso un diritto fondamentale, il che rafforza il ruolo dei motori di ricerca come attori attivi nel trattamento dei dati, come evidenziato dalla dottrina sul tema.[5]

La sentenza richiama i principi sanciti dall’art. 17 del GDPR, che regola il diritto alla cancellazione (diritto all’oblio), stabilendo che i titolari del trattamento dei dati sono tenuti a rimuovere contenuti obsoleti, inesatti o pregiudizievoli, salvo che sussistano motivi preminenti di interesse pubblico per la loro conservazione. In questo caso, il Tribunale ha stabilito che non esistevano ragioni di interesse pubblico tali da prevalere sul diritto del ricorrente alla cancellazione dei link indicizzati.

Inoltre, la sentenza ha evidenziato che il diritto all’oblio non si esaurisce nel semplice diritto alla rimozione dei contenuti, ma include il diritto a una rapida ed efficace esecuzione delle richieste. Il ritardo nell’accoglimento dell’istanza, pertanto, è stato considerato una condotta illecita e contraria ai principi di buona fede e correttezza. Tuttavia, la domanda risarcitoria è stata respinta, in quanto il ricorrente non ha fornito prove concrete del danno subito.

Analisi giuridica e impatti sul diritto all’oblio

La decisione del Tribunale di Roma si inserisce nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza “Costeja” (C-131/12), che ha riconosciuto per la prima volta il diritto all’oblio in relazione ai motori di ricerca. Tale diritto garantisce agli individui[6] la possibilità di ottenere la deindicizzazione di contenuti pregiudizievoli o non più rilevanti, al fine di tutelare la propria dignità e riservatezza. Come emerso dalla letteratura scientifica, il rispetto dei diritti fondamentali nell’ambito digitale non può essere subordinato agli interessi economici delle grandi piattaforme.[7]

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: i motori di ricerca, pur essendo intermediari tecnologici, svolgono un ruolo attivo nel trattamento dei dati personali e, pertanto, sono soggetti agli obblighi previsti dal GDPR.

In particolare, l’art. 17 impone ai titolari del trattamento di valutare con diligenza le richieste di cancellazione e di agire tempestivamente per evitare ulteriori pregiudizi all’interessato.

Un ulteriore aspetto di rilievo riguarda il principio di soccombenza virtuale, applicato dal Tribunale per condannare Google al pagamento delle spese di lite, nonostante la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. Questo principio sottolinea la responsabilità della piattaforma per il ritardo nell’adempimento, consolidando il ruolo del giudice come garante dei diritti fondamentali anche nei confronti dei giganti tecnologici.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Roma rappresenta un importante richiamo alla responsabilità dei motori di ricerca nel garantire il rispetto del diritto all’oblio. Nonostante l’intervenuta rimozione degli URL contestati, il giudice ha evidenziato che il comportamento tardivo di Google ha costituito una violazione del diritto del ricorrente. Questo tema è stato ampiamente dibattuto nella dottrina italiana e internazionale, che sottolinea la necessità di un equilibrio tra tutela dei diritti individuali e libertà di informazione. [8]

Questa decisione rafforza la protezione dei diritti degli individui nell’ambito digitale, sottolineando la necessità di una maggiore attenzione da parte delle piattaforme tecnologiche nel trattare le richieste relative ai dati personali. Pur respingendo la domanda risarcitoria, il Tribunale ha affermato un principio chiaro: il diritto all’oblio non può essere subordinato a interessi commerciali o a inerzie procedurali.

La condanna alle spese di lite rappresenta, infine, un ulteriore incentivo per le piattaforme a conformarsi tempestivamente alle richieste legittime degli utenti, contribuendo a creare un ambiente digitale più equo e rispettoso dei diritti fondamentali.

[1] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza “Costeja”, C-131/12, disponibile su EUR-Lex: https ://eur -lex .europa .eu .

[2] Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 26973/2008; G. Scarselli, Il principio di buona fede nel trattamento dei dati personali , Giurisprudenza Italiana, 2020.

[3] Voigt, P., & Von dem Bussche, A. (2017). Il regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE (GDPR): una guida pratica. Springer International Publishing.

[4] Savin, A. (2020). Diritto di Internet dell’UE. Edward Elgar Publishing.

[5] Lynskey, O. (2015). I fondamenti del diritto UE sulla protezione dei dati. Oxford University Press.

[6] Bygrave, LA (2014). Diritto della privacy dei dati: una prospettiva internazionale. Oxford University Press.

[7] Kuner, C. (2020). Flussi di dati transfrontalieri e diritto della privacy dei dati. Oxford University Press.

[8] Floridi, L. (2014). L’etica dell’informazione. Oxford University Press.

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