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La libertà di manifestazione del pensiero in luoghi ad uso pubblico e il vaglio della pubbli-ca amministrazione – Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2025, n. 362

- 1 Aprile 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

Tra l’esigenza di legalità e il rispetto del diritto alla libera manifestazione di pensiero nel mezzo, si esprime il potere dell’amministrazione volto a vagliare il contenuto del messaggio che deve essere adesivo ai criteri di verità e correttezza.

Il fatto 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 362/2025 del 17 gennaio 2025, affronta il delicato tema del bilanciamento del diritto alla libertà di manifestazione di pensiero e il dovere dell’amministrazione, di tutelare l’interesse e il benessere della comunità.

La sezione quinta del Consiglio di Stato ha confermato la decisione emessa dal Tar dell’Emilia-Romagna (sezione seconda) con la sentenza n. 845/2022 con cui rigettava la richiesta dell’Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus in persona del legale rapp.to p.t, di affiggere manifesti nei luoghi del riminese, nell’ambito della campagna promossa dall’Associazione sull’intero territorio nazionale, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della pillola antiabortiva RU486.

Per dare voce alla campagna di sensibilizzazione per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (Art. 32 Cost.) sui rischi della somministrazione della pillola RU486, l’Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus in data 02.12.2020, inoltra richiesta agli uffici di affissione del Comune di Rimini, al fine di tappezzare la città con manifesti raffiguranti una donna apparentemente priva di sensi con accanto una mela rossa (a ripresa della favola di Biancaneve) e brevi scritti secondo cui la pillola abortiva RU486, è un veleno che mette a repentaglio la vita della donna che ne fa utilizzo determinando tra le altre cose, la morte del bambino nel grembo materno.

Nello specifico, il Comune di Rimini, con la Deliberazione della Giunta Comunale intervenuta in data 15 dicembre 2020, negava la richiesta di affissione di n. 100 manifesti nel formato 70×100 commissionati dall’Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus, riconoscendo alla stessa il rimborso del diritto versato pari ad euro 67,00.

L’associazione ricorrente ha adito il TAR predetto al fine di ottenere l’annullamento della già menzionata deliberazione della Giunta comunale.

L’associazione ricorrente lamentava di aver subito una vera e propria censura dell’attività di pubblicità in violazione dell’artt. 21 Cost co. 1 e 2, ad opera di una amministrazione pubblica priva di poteri e quindi, incompetente.

Con la sentenza n. 845/2022, il Tribunale Amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna respingeva il ricorso proposto dall’Associazione ricorrente.

Avverso tale sentenza l’associazione soccombente in primo grado, l’Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus, proponeva appello innanzi il Consiglio di Stato e, articolando la difesa sui tre motivi di censura ossia: 1) Incompetenza assoluta/relativa della Giunta e la carenza di potere rispetto al diniego di autorizzazione; 2) Operazione di censura preventiva illegittima e infondata; 3) Violazione della riserva di legge ex art 97 Cost.

Con memoria di costituzione e difesa, si costituiva il Comune di Rimini per chiedere la reiezione dell’appello.

Il collegio, visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini e visti tutti gli atti di causa, trattiene nella pubblica udienza del 17.10.2024, la causa in decisione.

La decisione

Nel merito, il Consiglio di Stato, in via preliminare inizia un’analisi sulla ferma posizione dell’Associazione circa l’inesistenza in via generale in capo alla amministrazione di un “potere autorizzativo all’affissione” ed in via particolare l’inesistenza del medesimo potere in capo all’organo politico al termine della quale, l’organo decidente ha giudicato la Giunta Riminese non incompetente né in via assoluta né in via relativa, nell’esplicitazione del diniego all’affissione.

Difatti, nel caso di specie, non si può configurare un incompetenza assoluta perché si è concordi nel ritenere che in occasione di esigenze di pubblico interesse, la legge riconosce all’amministrazione comunale il potere di stabilire limitazioni e divieti a particolari forme pubblicitarie, senza che la mancata puntuale indicazione di tale  funzione all’interno del Regolamento comunale disciplinante le pubbliche affissioni, funga da deterrente al potere dell’amministrazione il cui fulcro, viene fornito comunque, da altri testi legislativi precisamente richiamati nella delibera di Giunta (come art. 23 del codice della strada; art. 46 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale).

Dall’altro, non si configura neppure una forma di incompetenza relativa ai danni della Giunta comunale. Questo perché, seppure sia vero che gli organi politici quale è la Giunta, hanno funzioni di programmazione, indirizzo e controllo, privi quindi, di competenze gestionali che invece spettano ai dirigenti è anche vero che a fronte della sensibilità del messaggio pubblicitario da veicolare, la competenza dirigenziale si è rivelata insufficiente determinando in capo alla Giunta in virtù di quel potere residuale di indirizzo e controllo di gestire il servizio di affissione comunale.

Pertanto, i Giudici di Palazzo Spada osservati il Regolamento del Comune di Rimini per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico, oltre che il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che nel titolo VI contiene riferimenti alla comunicazione sociale, nel dare risposta al primo motivo di impugnazione, hanno ritenuto evidente che la diffusione al pubblico con le forme e/o i mezzi di pubblicità commerciale di messaggi a caratteri sociali, non può esulare dall’autorizzazione o quantomeno da un controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione.

In merito al secondo punto di censura, il collegio ha attuato una compensazione di tre elementi: il contenuto del messaggio, lo strumento di comunicazione e il pubblico ricettore, tenendo bene a mente che la libertà di manifestazione di pensiero oltre ad essere uno dei principali diritti dell’individuo, è anche un caposaldo dei sistemi democratici. A risultanza di tale bilanciamento, si è giunti alla consapevolezza che la trasmissione quando questa, venga svolta attraverso strumenti di comunicazione- che per loro natura – raggiungono un importante numero di destinatari, il messaggio da veicolare deve essere tale da evitare un turbamento della sensibilità dei fruitori del messaggio ed essere quindi, osservante dei criteri di prudenza e precauzione.

Il campanello d’allarme, in ciò che è stato raffigurato nei manifesti negati, è suonato non per la rappresentazione in sé della donna in terra, quanto piuttosto, il riportato paragone che l’Associazione ha attuato tra un veleno e la pillola abortiva.

Il Consiglio ha sottolineato che paragonare un veleno ad un farmaco regolarmente approvato dagli organi competenti, oltre ad essere foriero di cattiva informazione, è promotore di sentimenti di terrore negli animi delle donne destinatarie.  Si è ritenuto talché, che l’associazione con quanto divulgato, abbia valicato il confine di equilibrio tra la corretta informazione, la sensibilità dei destinatari e la libera manifestazione del pensiero.

Per queste ragioni, in accordo con il Tar, il Collegio ha ritenuto che la condotta posta in essere dal Comune di Rimini non risulti violare la libertà di manifestazione del pensiero tutelata dalla Carta costituzionale e dalla Giurisprudenza della CEDU, limitandosi a divenire sentinella di contenuti non veritieri e suscettibile di condizionare in modo fuorviante e ingannevole l’utilizzo di un farmaco regolarmente approvato dalle competenti autorità sanitarie.

In ultimo, anche il terzo motivo di censura è stato giudicato infondato. il Consiglio ha ritenuto che il Comune di Rimini non abbia fatto un uso improprio del regolamento per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade, aree pubbliche e di uso pubblico estendendolo anche alle modalità della comunicazione pubblicitaria, non essendo questo, limitato alla sola comunicazione commerciale. Bensì essa, è riferibile ad ogni tipo di comunicazione pubblicitaria, destinata quindi a veicolare messaggi, di contenuto vario, compresi quelli volti a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale anche specifici (Arg. Ex art. 46 del Codice di autodisciplina).  

Ne deriva che, nel caso di specie, il Collegio ha abbracciato il richiamo contenuto nella delibera della Giunta comunale secondo il quale la pubblicità deve rispondere ai canoni di trasparenza, verità e correttezza, vietando qualsiasi forma di pubblicità ingannevole.

Conclusioni

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dall’Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus rigetta l’appello e compensa le spese del grado per la novità delle questioni trattate.

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