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Amministratore di condominio e mediatore immobiliare: riconosciuta la compatibilità dell’esercizio congiunto – Cons. Stato, sez. VI, (ud. 20 febraio 2025) dep. 07 marzo 2025, n. 1925

- 23 Maggio 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

L’esercizio congiunto delle attività di amministratore di condominio ed agente immobiliare non può considerarsi a priori incompatibile in senso astratto e assoluto, pena la contrarietà al principio di proporzionalità e alla libertà di prestazione di servizi garantita dall’Unione europea, dovendosi piuttosto procedere ad una valutazione caso per caso dei conflitti di interesse potenzialmente verificabili.  

Il fatto 

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione seconda, aveva rigettato il ricorso della ditta individuale ricorrente contro una serie di provvedimenti fra cui, in particolare, la determinazione del Dirigente del Settore III della CCIAA di Bologna avente ad oggetto l’inibizione alla prosecuzione dell’attività di mediazione in immobili per la sussistenza di una ipotesi concreta di conflitto di interessi, stante l’incompatibilità tra l’esercizio della professione di amministratore di condominio e quella di mediatore immobiliare, in virtù del disposto di cui all’art. 5, comma 3, della L. 39/1989 (nella versione vigente ratione temporis ossia quella recata dalla L. 37/2019).

A fondamento del rigetto, i giudici amministrativi di primo grado ritenevano che l’azione intrapresa dalla CCIAA di Bologna fosse corretta e lineare rispetto a quanto previsto dall’art. 5 della legge cit. che, al fine di scongiurare ogni possibile conflitto attuale di interessi, richiedeva una verifica caso per caso delle situazioni coinvolte, stigmatizzando ogni valutazione astratta e assoluta nella individuazione delle situazioni di incompatibilità.

Nel caso di specie, infatti, il T.a.r. riteneva che l’incompatibilità poteva desumersi, in forza di un apprezzamento di natura sostanziale ancorato alla logica e all’esperienza comune, dalla natura dell’attività di amministratore di condominio ivi svolta da parte ricorrente in modo prevalente e in forma imprenditoriale, tale per cui sussisteva il rischio che le unità immobiliari amministrate, in particolare quelle rimaste libere e messe in vendita, venissero indebitamente favorite rispetto alla platea di quelle disponibili, in violazione dei requisiti di terzietà e imparzialità propri della figura del mediatore.

Per le ragioni esposte, secondo il giudice di primo grado, non vi era alcuna lesione dei principi comunitari invocati quanto piuttosto un caso concreto di conflitto di interessi.

Avverso il provvedimento de quo, parte ricorrente proponeva appello, articolato in due motivi d’impugnazione.

Con il primo motivo, il legale di parte ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 3,41,97 e 117 della Cost., dell’art. 5, comma 3, della l. 39/1989, degli artt. 1,3 e 6 della l. 241/1990, dell’art. 4 n. 3 dell’art. 47 del T.F.U.E. e dei principi europei di non discriminazione, di proporzionalità ed adeguatezza dei requisiti di accesso a professioni e servizi come risultanti anche dalle direttive 2005/36/CE e 2006/123/CE, nonché l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione in ordine al ritenuto “motivo imperativo di interesse generale” quanto al conflitto di interessi, chiedendo, altresì, la rimessione della questione alla Corte di giustizia UE.

Tra le varie contestazioni, l’appellante lamentava un travisamento del thema decidendum del ricorso da parte del giudice amministrativo che aveva applicato l’art. 5, comma 3, della legge cit. interpretandolo quale norma di pericolo recante un divieto generalizzato ed assoluto, considerando, peraltro, il solo “caso limite” di immobili contemporaneamente intermediati ed amministrati dallo stesso soggetto, ipotesi invece ritenuta non pertinente alla vicenda in esame e, ad ogni modo, di per sé già vietata dall’art. 1754 c.c.

Lamentava la mancanza di una verifica in concreto da parte della CCIAA sugli immobili intermediati dal ricorrente al fine di constatare l’eventuale congiunto esercizio dell’attività di amministratore su di essi. 

Denunciava un’inammissibile integrazione postuma dei provvedimenti impugnati da parte del Tar nell’aver prospettato una interpretazione dell’art. 5 della l. cit. secondo la quale l’incompatibilità tra le due attività derivava dalla mera constatazione del loro svolgimento congiunto in forma imprenditoriale, senza – a dire del ricorrente – aver fornito elementi a dimostrazione della necessarietà e proporzionalità di detto divieto di esercizio congiunto, a tutela di un potenziale “rischio di conflitto interessi” a danno degli interessati, inteso quale “motivo imperativo di interesse generale”.

In breve, riteneva che il divieto generalizzato ed assoluto recato dalla norma in commento, come interpretato dalla Pubblica amministrazione nonché dal Tar, violasse le Direttive comunitarie citate.

Altresì riteneva che la natura imprenditoriale o meno dell’attività di intermediazione immobiliare non potesse assumere un rilievo giuridico qualificato volto a determinare “un motivo imperativo di interesse generale” tale da giustificare l’introduzione di un divieto generalizzato di svolgimento di un’attività multidisciplinare.

Con il secondo motivo, la società deduceva la violazione e falsa applicazione dei principi generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1176 e 1337 c.c., nonché degli artt. 1,3 e 6 della l. 241/1990, degli artt. 7 e 9 del D.M. MISE del 26.10.2011, nonché carenza assoluta di istruttoria, violazione e falsa applicazione dei principi europei di non discriminazione, di proporzionalità, gradualità e adeguatezza delle sanzioni.

Infine, la società appellante riproponeva domanda di risarcimento del danno.

La decisione

Per dirimere la vicenda in esame, la Suprema Corte si è interrogata sulla possibilità o meno, in assenza di una normativa esplicita, di prevedere un’incompatibilità preventiva dell’esercizio congiunto delle attività di amministratore di condominio e agente immobiliare, tenuto conto del fatto che, nel caso concreto, il ricorrente non intermediava gli immobili che, contemporaneamente, lo stesso gestiva e che, ciò nonostante, l’attività di amministratore era stata svolta in forma imprenditoriale dato il maggior reddito da essa derivante.

In tale ottica, evidenziava, sulla scorta di quanto già osservato dal giudice di primo grado, che quando un agente immobiliare svolge contemporaneamente ambo le attività, può nascere il rischio che le unità immobiliari amministrate siano indebitamente favorite rispetto all’intera platea di quelle disponibili, determinando un vulnus alla imparzialità propria del mediatore. Tuttavia, secondo un’analisi economica dal punto di vista del consumatore, rilevava i vantaggi economici di una gestione unica da parte della medesima figura professionale.

Sicché la Sezione, non rilevando ragioni immediate o sufficientemente chiare, precise ed incondizionate tali da giustificare un contrasto con il diritto dell’Unione, escludeva la ricorrenza dei presupposti per procedere alla diretta disapplicazione della normativa nazionale contestata, ravvisando piuttosto la sussistenza di una questione interpretativa relativa all’esatto ambito interpretativo da riconoscere ad atti normativi dell’Unione e alla compatibilità con essi di un provvedimento legislativo nazionale.

Alla luce di quanto sopra, la Sezione del Consiglio di Stato sollevava questione di pregiudizialità, invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea a pronunciarsi su quanto contestato.

La decisione della Corte di Giustizia, con la sentenza del 4 ottobre 2024, può così essere sintetizzata: l’art. 25, par. 1, della direttiva 2006/123/CE osta a una normativa nazionale che preveda, in via generale, un’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini, esercitate congiuntamente. Infatti, sebbene non si possa escludere che possa verificarsi una situazione di conflitto di interessi, ad esempio quando sono esercitate in relazione allo stesso bene, oppure quando integrano attività imprenditoriale, detto rischio non è assoluto, sicché l’esistenza di un simile conflitto di interessi non si può presumere a priori ma necessita di essere di volta in volta provato.  

In conclusione, alla luce di detta pronuncia, i giudici hanno accolto l’appello in relazione al solo quesito sulla compatibilità dell’esercizio congiunto delle due attività di amministratore di condomini ed agente immobiliare, ritenendolo legittimo e compatibile con i principi ed il diritto dell’Unione europea.

Diversamente, fermi i principi in materia di responsabilità dell’Amministrazione per l’annullamento di un provvedimento, riteneva esclusa l’imputazione soggettiva dell’illecito all’Amministrazione, rigettando quindi la domanda risarcitoria di parte appellante, stante l’incertezza della questione sottesa al giudizio, posto che il quadro normativo applicabile al caso concreto non appariva immediatamente chiaro e lineare ben potendosi, invece, prestare a differenti opzioni interpretative.  

Conclusioni

Il Consiglio di Stato accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annulla gli atti impugnati e respinge la domanda di risarcimento del danno.

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