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Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2024, n. 4818

- 15 Luglio 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Nell’ambito del procedimento di cui all’art. 27 bis del d.lgs. n. 152/2006 volto all’emanazione del Provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), tutte le amministrazioni interessate e con competenza in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza di servizi e a esprimere i rispettivi pareri in detta sede, non potendosi pronunciare tardivamente e al di fuori della conferenza medesima. Ne deriva che l’eventuale parere negativo di compatibilità paesaggistica, reso successivamente alla chiusura della conferenza, da parte della Soprintendenza, deve essere considerato illegittimo per incompetenza, alla stregua di un atto adottato da un’Autorità priva di potere in materia, dovendosi valorizzare il fattore tempo e la semplificazione come valore o bene di natura finale.

Svolgimento del processo 

Una breve premessa classificatoria di rilievo sistematico.

Si è soliti distinguere tra pareri obbligatori e pareri facoltativi, a seconda che il parere debba o possa essere acquisito. Il parere può essere, poi, non vincolante o vincolante: il primo esplica sicuramente una funzione consultiva nell’ambito di una attività istruttoria, mentre il secondo è espressione di una funzione co-decisoria, andando il parere a determinare il contenuto della decisione finale senza lasciare discrezionalità in capo all’Amministrazione procedente.

Tale distinzione ha una rilevanza pratica, come emerge, ad esempio, dal dibattitto dottrinale e giurisprudenziale sull’applicabilità o meno del silenzio assenso tra Pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 17-bis della l. 241/1990 nel settore paesaggistico, in particolare nel procedimento volto all’emanazione dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. 42/2004.

Altresì, dalla natura vincolante o meno del parere, nonché dal procedimento nel quale si inserisce, si determina la validità o l’inefficacia di un parere espresso oltre i termini previsti dalla legge.

È su tale ultima considerazione che prende forma il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada nella sentenza in commento.

Venendo alla fattispecie in causa, nel giugno del 2020, la società ricorrente presentava alla Provincia un’istanza per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica in un determinato Comune, e delle relative opere di connessione.

La Provincia, come ente delegato della Regione, attivava il procedimento PAUR, con il coinvolgimento del Comitato VIA e della Commissione Paesaggio, e concludeva la conferenza dei servizi, nell’aprile 2022, con la pronuncia favorevole della Provincia.

L’esito positivo della conferenza dei servizi sopraggiungeva a fronte dell’assenso alla realizzazione del progetto da parte di tutte le Amministrazioni coinvolte, ad eccezione della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio che esprimeva parere negativo, ma la cui posizione contraria era stata messa in minoranza nell’ambito della valutazione delle posizioni prevalenti ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7, della l. 241/1990.

La ricorrente, inoltre, dopo aver ricevuto anche l’autorizzazione unica (A.U.) ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, con la dichiarazione del suo progetto di impianto eolico quale opera di pubblica utilità indifferibile ed urgente, inviava tutta la documentazione relativa agli aspetti paesaggistici alla Provincia, richiedendo la solerte conclusione del procedimento PAUR.

A fronte di tale richiesta, la Provincia attivava un distinto e separato procedimento di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, che si concludeva, nell’ottobre 2022, con esito negativo anche in virtù di un successivo – rispetto alla conclusione della conferenza di servizi – parere sfavorevole reso dalla Soprintendenza. Seguiva il provvedimento di diniego del PAUR, da parte della Provincia, nel dicembre 2022.

Il provvedimento di diniego del PAUR e il parere negativo della Soprintendenza, nonché ogni altro provvedimento o atto presupposto, consequenziale o connesso, venivano impugnati con ricorso e motivi aggiunti dinanzi al Tar, dalla società ricorrente, contro la Provincia e i Ministeri coinvolti.

Parte ricorrente censurava l’assenza di una personale istanza di autorizzazione paesaggistica, ed in ogni caso la sua non necessarietà; l’impossibilità del rilascio di una autorizzazione paesaggistica autonoma, in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27 bis del d.lgs. 152/2006; la sovrapposizione delle valutazioni già svolte nel procedimento di PAUR in sede di conferenza di servizi; l’erroneità e la illogicità delle valutazioni contenute nel parere tardivo della Sopraintendenza, avente peraltro natura non vincolante per impianti destinati ad essere realizzati su aree non soggette a particolari vincoli.

Il Tar rigettava il ricorso ed i motivi aggiunti sostenendo, fra i vari motivi, che la verifica paesaggistica doveva ritenersi imposta dall’A.U. e che il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica al di fuori del PAUR era ammissibile e svincolato dalle risultanze della conferenza di servizi, dovendosi interpretare l’invio dei documenti paesaggistici da parte della società ricorrente alla Provincia come equivalente ad una istanza di parte di autorizzazione paesaggistica. Non motivava, invece, in ordine alla natura non vincolante del parere della Soprintendenza e all’ammissibilità di una autonoma autorizzazione paesaggistica svincolata da un’istanza.

La società ricorrente proponeva appello contro la sentenza, chiedendone la sua riforma al Consiglio di Stato, articolando sei motivi.

In particolare, sosteneva di non aver mai richiesto una autorizzazione paesaggistica alla Provincia, come invece sostenuto dal Tar, dovendosi interpretare la presentazione dei documenti paesaggistici come sollecito e semplificazione al rilascio del PAUR; che, in ogni caso, alcuna nuova determinazione doveva ritenersi necessaria per la mera emissione dell’A.U. della Regione; che il modulo della conferenza dei servizi nel corso dell’iter del PAUR aveva già consentito di vagliare in modo approfondito la compatibilità paesaggistica dell’impianto con la presenza della Commissione per il Paesaggio; che nel merito era illogica ed erronea la valutazione negativa, ancorché tardiva, della Soprintendenza in merito alla compatibilità del progetto.

Si costituivano in giudizio la Provincia e i Ministeri coinvolti, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza nel merito dell’appello.

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ritiene parzialmente fondate le censure sollevate dall’appellante.

Motivi della decisione

(…)

Il Consiglio di Stato evidenzia la particolarità e la novità delle questioni trattate.

In primis, viene evidenziato che, successivamente alla favorevole conclusione della conferenza di servizi, alcuna Amministrazione, compresa la Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio, avrebbe potuto validamente esprimere un nuovo parere.

Infatti, in ragione del particolare procedimento di cui all’art. 27 bis del d.lgs. n. 152/2006, la giurisprudenza amministrativa osserva che tutte le Amministrazioni interessate dal progetto, e dunque competenti in materia, sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere in quella sede i pareri previsti dalla legge, secondo le dinamiche ed i termini previsti dalla legge, con la conseguenza che il parere negativo espresso al di fuori della conferenza è da ritenersi illegittimo per incompetenza alla stregua di un atto adottato da un’Autorità priva di potere i materia.

Del resto, giova osservare che, nella logica della consumazione del potere codecidente, laddove l’Amministrazione (nel caso di specie, la Soprintendenza) avesse voluto mutare il proprio parere, rendendolo sfavorevole, all’interno di una decisione pluristrutturata, avrebbe dovuto sollecitare poteri in autotutela nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge, e non limitarsi ad esprimere un successivo parere contrario alla realizzazione, fuori dalla conferenza di servizi e senza tenere conto del suo esito, favorevole, solo per fondare il successivo diniego del PAUR.

A riguardo, emerge infatti anche la distinzione tra la procedura ordinaria per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, ex art. 146, d.lgs. 42/2004, e il procedimento unico nell’ambito del PAUR, previsto dall’art. 27 bis d.lgs. cit., sulla base del quale l’acquisizione del titolo abilitativo avviene secondo un diverso iter procedimentale, appunto incentrato sul modulo della conferenza di servizi.

E invero, nell’ambito della conferenza di servizi non sembra aver senso parlare di autonomi provvedimenti endoprocedimentali, in quanto tutte le autorizzazioni e i pareri sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza stessa. Pertanto, l’amministrazione competente sulla paesaggistica, nell’ambito della conferenza ex art. 14ter, l. n. 241/1990, può esprimere il proprio dissenso, ma tuttavia questo verrà valutato tenendo conto delle posizioni prevalenti in sede di conferenza, ben potendo quindi essere posto in posizione di minoranza.

Successivamente, il Consiglio di Stato prosegue osservando che la missiva, della società richiedente, di allegazione dei documenti concernenti gli aspetti paesaggistici dell’impianto non deve essere considerata un’autonoma istanza di autorizzazione paesaggistica o comunque una richiesta idonea a rimettere in discussione valutazioni già raggiunte in sede di conferenza di servizi.

Ancora, viene affermato che il parere di un’Amministrazione chiamata a partecipare a una conferenza di servizi in quanto titolare di uno degli interessi pubblici coinvolti deve necessariamente intervenire entro il termine della conferenza stessa, divenendo altrimenti inefficace, tamquam non esset.

Tale interpretazione è coerente con la trasformazione del ruolo della semplificazione, da valore meramente strumentale per l’efficienza amministrativa, a bene di natura finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle amministrazioni competenti, collegato all’importanza del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e nel raggiungimento dell’obiettivo della competitività del Paese.

Con la conseguenza che, in caso di mutamento del proprio avviso da parte dell’Amministrazione, per ragioni di legittimità ovvero di opportunità, la strada da perseguire è sempre l’esercizio del potere di autotutela nelle forme consentite dalla legge.

(…)

Dispositivo

Accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso e i motivi aggiunti proposti in I grado, annullando i provvedimenti ivi impugnati.

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