
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Il dolo alternativo è figura pienamente compatibile con il tentativo poiché è una condotta nient’affatto equivoca diretta a perseguire obiettivi chiari nella mente dell’agente: il dolo alternativo, infatti, costituisce a tutti gli effetti una forma di dolo diretto; consta di un atteggiamento volitivo mirante a un preciso evento, accanto al quale se ne prefigura, certo o anche solo altamente probabile, uno inferiore costituente anch’esso scopo della condotta.
Il fatto
Con la sentenza in esame la Corte di appello, in riforma della pronunzia di primo grado con cui il Tribunale assolveva l’imputato per l’insussistenza del fatto di reato di cui agli artt. 56, 624, 625 co.1 c.p., ha ritenuto integrati gli estremi del tentativo punibile e, pertanto, ha condannato l’imputato alla pena di un anno di reclusione ad Euro 300,00 di multa per il reato di tentato furto aggravato dall’aver agito travisato ai danni della persona offesa (egli in sella al motorino con targa alterata, prima seguiva e poi aggirava la vittima cercando ripetutamente di palpeggiare la tasca ove teneva il portafoglio).
Avverso la già menzionata sentenza ricorre per Cassazione l’imputato articolando sei motivi:
-con il primo motivo lamenta la nullità dell’ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria mediante l’audizione del querelante, per la violazione degli artt. 125, co. 3, per ordinanza immotivata, 603, co. 1 e 3bis, per mancanza di istanza di rinnovazione, e 438 c.p.p, nonché per motivazione manifestamente illogica.
In ossequio alla volontà dell’imputato di farsi giudicare secondo le forme del rito abbreviato “secco” la rinnovazione in tal caso sarebbe vietata;
-con il secondo motivo, deduce la nullità derivata dalla sentenza, ex art. 185 c.p.p.;
-con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 125, co. 3., art. 192, co. 2, e art. 530 c.p.p., per vizi di motivazione e travisamento della prova, laddove afferma la sussistenza di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il furto;
-con il quarto motivo, il ricorrente eccepisce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione degli artt. 125, co. 3 c.p.p. in relazione all’art. 56, co. 3 c.p. e per vizi di motivazione e travisamento della prova, censurando il rigetto dell’ipotesi di volontaria desistenza e l’affermazione della Corte. Non vi sarebbero stati fattori esterni che avevano costretto l’imputato ad interrompere l’azione. La volontarietà della desistenza non andrebbe intesa come spontaneità, bensì come scelta operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne;
-con il quinto motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 125, co.3 c.p.p. e 62-bis e 133 c.p. e l’esistenza di motivazione apparente, in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena;
-con il sesto motivo, contesta la nullità della sentenza di appello per violazione di legge e di vizi di motivazione, per aver rigettato l’istanza di sostituzione della pena irrogata con la detenzione domiciliare, ai sensi degli artt. 20-bis c.p. e 53 e 56 L. 698/1981.
La Suprema Corte è chiamata a ribadire il proprio orientamento sulla compatibilità della figura del dolo alternativo con il tentativo.
La decisione
La Corte, rigettate tutte le preliminari questioni processuali poste giacché la rinnovazione istruttoria può spiegarsi anche nel processo argomentativo che motiva la decisione in sentenza, ritiene altresì infondati i motivi relativi alla configurabilità del tentativo di furto.
Nello specifico:
-i primi due motivi sono infondati in quanto, il giudice di appello che dispone la rinnovazione istruttoria può sviluppare il processo argomentativo che motivi la decisione anche in sentenza, posto che ciò risulta coerente con la previsione di cui all’art. 586 c.p.p., in forza del quale l’impugnazione, avverso le sentenze emesse nel corso del dibattimento, può essere proposta solo con l’impugnazione della sentenza (così Sez. III, n. 1455 del 10.11.2023, dep. 2024, Rv. 285736-01).
Il comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p. è di immediata applicazione nel giudizio di appello nel testo modificato dall’art. 34, co. 1, lett. I), n.1, d.l.gs. 150/2022, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio tempus regit actum e con riferimento al tempo in cui l’atto viene compiuto.
Tale disposizione, continua la Corte, fa chiaramente salva l’applicazione dei commi 1 e 3 del medesimo articolo e, dunque, della possibilità di disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale d’ufficio, se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.
È chiaro altresì che tale regola non subisce eccezioni nel caso di giudizio abbreviato: è stato più volte ribadito (si veda, Cass. Sez. II, n. 30776 del 10.05.2023, Rv. 284947/01), che nel giudizio di appello conseguente allo svolgimento nelle forme del rito abbreviato del giudizio in primo grado, è consentito al giudice disporre, ai sensi dell’art. 603, co. 3, c.p.p., i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti.
Come è stato altresì rilevato che “l’interesse dell’imputato a vedersi giudicato in base ad un compendio probatorio non completo, ed a bloccare quindi ogni integrazione in senso a lui sfavorevole, non può soccombere rispetto all’interesse dello Stato alla ricerca della verità, anche a costo di sacrificare l’ulteriore interesse statale alla rapida definizione del processo” (in tal senso, Cass. Sez. I, n. 44324 del 18.04.2012, Stasi);
-anche il terzo e il quarto motivo sono infondati. La Corte d’appello ha ritenuto integrato il furto sulla base degli argomenti desunti dalle dichiarazioni della persona offesa e dagli atti di indagine dei Carabinieri. Dunque, la Corte d’appello ha concluso ritenendo che l’imputato avesse posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato di furto.
La Corte ribadisce la piena compatibilità del dolo alternativo con la figura del tentativo in quanto trattasi di una forma di dolo diretto in cui il reo prevede e vuole, con scelta equipollente, uno degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (in questo senso, Cass. Sez. I n. 47339 del 24.09.2024, Rv. 287335-01).
Per la configurabilità del tentativo, chiarisce la Corte, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia deciso di attuarlo con azione dalla significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato, salvo il verificarsi di eventi indipendenti non prevedibili dal reo.
Per queste ragioni, risulta indubbio che la condotta dell’imputato, volta a frugare le tasche della vittima, fosse diretta a derubare e, pertanto, la Corte di appello correttamente ha motivato in merito, ricavando utili elementi di giudizio da tutte le circostanze desunte aliunde, cioè dagli accadimenti appurati in prossimità del fatto contestato.
Inoltre, nel caso in esame non può nemmeno ravvisarsi un’ipotesi di desistenza volontaria, come affermato dalla difesa, in quanto, secondo pacifico principio, nei reati di danno a forma libera la desistenza volontaria è configurabile solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati attuati gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento (si veda, Cass. Sez. 5, n. 50079 del 15.05.2017, Rv. 271435-01);
-il quinto motivo è inammissibile, in quanto trattasi di motivazione che non può dirsi assente e che è priva di profili di manifesta illogicità o altri vizi motivazionali;
-l’ultima censura è fondata: l’art. 58 della legge 689/1981, oggetto di modifiche recenti da parte della Legge Cartabia, prevede che “il giudice, nei limiti della legge e tenuto conto dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurazione la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati (…)”.
Ecco che i “fondati motivi”, che non consentono la sostituzione della pena, richiedono, come afferma la Suprema Corte, di un’adeguata e “rafforzata” motivazione in merito al giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare forme sanzionatorie consone alla finalità rieducativa e l’obiettivo di assicurare l’effettività della pena. Si tratta comunque di una valutazione discrezionale del giudice che va operata sulla base dei criteri posti all’art. 133 c.p. e, dunque, considerando primariamente le personalità del condannato.
Conclusioni
La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni sostitutive, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello.
Rigetta nel resto il ricorso.