
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
L’ufficiale dello stato civile è tenuto a riconoscere, nell’atto di nascita, la madre intenzionale che ha prestato il consenso alla procrea-zione medicalmente assistita (PMA) effettuata all’estero insieme alla madre biologica, senza richiedere l’adozione in casi particolari.
Il fatto
Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione riguarda il riconoscimento anagrafico della madre intenzionale di due minori nati da procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa effettuata all’estero da una coppia omosessuale femminile.
Le due madri, unite civilmente da diversi anni, hanno realizzato un condiviso progetto genitoriale utilizzando la tecnica di PMA svolta all’estero, da cui sono nati due figli. All’epoca dei fatti, la madre intenzionale ha prestato consenso preventivo al procedimento di fecondazione.
Nel 2020, le due donne avanzano richiesta all’ufficiale dello stato civile del Comune di competenza di trascrivere l’atto di nascita dei minori con l’indicazione di entrambe come genitori, quindi richiedendo l’aggiunta della madre intenzionale accanto al nome della madre biologica. L’ufficiale di risposta nega tale richiesta ritenendo necessaria, per la madre intenzionale, una procedura di adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d), l. n. 184/1983.
Dal diniego, scaturisce un complesso e macchinoso gioco di diritto. Difatti, le madri, propongono ricorso al Tribunale di Brescia, che nel 2023 ha accolto la domanda, ordinando la rettifica da parte dell’Ufficiale, dell’atto di nascita con l’aggiunta della madre intenzionale. Il Ministero dell’Interno impugna la decisione in appello, motivando sull’inapplicabilità della legge del 2004 alle coppie dello stesso sesso. La Corte d’appello rigetta il reclamo. Il Ministero propone ricorso per cassazione.
La decisione
Con la sentenza n. 15075/2025, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso del Ministero dell’Interno, ma corregge in diritto la motivazione della Corte d’appello di Brescia, ritenendo che la decisione assunta fosse corretta nel dispositivo ma non sostenibile sul piano interpretativo, alla luce del quadro normativo previgente rispetto alla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 68/2025.
Difatti, la Corte d’appello aveva ritenuto possibile una lettura evolutiva dell’art. 8 della legge n. 40/2004, valorizzando il passaggio, all’interno della stessa legge, da disposizioni sull’accesso alle tecniche (riservato alle coppie eterosessuali: art. 5) a quelle sulla tutela del nato, ove si fa generico riferimento alla “coppia” che abbia espresso consenso. In questo cambio lessicale, i giudici bresciani hanno ravvisato un’apertura sistemica alla possibilità di estendere la tutela del figlio anche nelle ipotesi di PMA praticata da coppie omosessuali all’estero, pur in assenza di un’espressa previsione normativa.
Secondo i giudici del reclamo, negare il riconoscimento diretto della madre intenzionale avrebbe generato una discriminazione irragionevole tra i minori nati da PMA in coppie eterosessuali e quelli nati da coppie omosessuali, ponendo questi ultimi in una condizione di minor tutela e subordinando il riconoscimento a un procedimento di adozione in casi particolari. Tale istituto, secondo la Corte territoriale, non garantisce né l’immediatezza né la pienezza dello status filiationis, risultando procedura lenta, discrezionale e meno protettiva per l’identità giuridica del minore.
Inoltre, la Corte di Brescia sottolineava come non fosse il comportamento degli adulti – né la loro conformità alla legge 40/2004 – a dover essere oggetto di valutazione, quanto l’interesse concreto del minore, che, in quanto soggetto debole e privo di strumenti giuridici propri, ha diritto a vedere riconosciuto uno status certo, stabile e conforme alla realtà affettiva e familiare in cui cresce.
Il nato diventa il centro di interesse da tutelare.
La Corte di Cassazione, pur condividendo l’esito sostanziale del giudizio, ritiene che la motivazione della Corte d’appello superi i limiti dell’interpretazione giuridicamente consentita.
In particolare, ribadisce che, prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 8 l. 40/2004 (sentenza n. 68/2025), non era possibile attribuire al testo normativo una portata estensiva tale da includere le coppie omosessuali, essendo vincolante il riferimento esplicito, all’art. 6, ai soggetti di cui all’art. 5: ossia coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi.
La Cassazione chiarisce che il giudice ordinario non può introdurre modifiche sostanziali all’ordinamento in via interpretativa, ma, in presenza di una possibile violazione costituzionale, deve ricorrere allo strumento dell’incidente di costituzionalità.
Tuttavia, nel caso di specie, essendo sopravvenuta la pronuncia della Corte costituzionale n. 68/2025, che ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui non consente il riconoscimento della madre intenzionale, il dispositivo della Corte d’appello risulta conforme al nuovo diritto vivente.
La Suprema Corte, pertanto, rigetta il ricorso ministeriale ma sostituisce l’impianto motivazionale con uno aderente al quadro costituzionale aggiornato.
Conclusioni
La Corte di Cassazione con sentenza 15075/2025 Rigetta il ricorso del Ministero, confermando la decisione della Corte di appello, previa modifica delle ragioni di diritto.