172 views

Cass. Pen., Sez V, ud. 12 aprile 2023 (dep. 31 agosto 2023), nr. 36407

- 17 Ottobre 2023

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di violenza privata, si ravvisa la coartazione dell’altrui libertà di autodeterminazione nella condotta del giornalista che procaccia notizie con modalità insistenti, non potendosi invocare, ex art. 51 cod. pen., la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, in quanto il diritto all’informazione non giustifica forme illecite di compressione della libertà privata.

Svolgimento del processo 

La Corte d’Appello di Milano ha ribadito la penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 610 c.p. e lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia, riformando, tuttavia, la decisione del Tribunale di Milano in punto di concessione della sospensione condizionale della pena (al fine di consentire all’imputato di poter eventualmente beneficiare ancora dell’istituto).

I fatti da cui scaturisce la vicenda processuale possono essere riassunti nei termini seguenti.

L’imputato, intervistatore di una nota trasmissione televisiva, si era indebitamente introdotto, insieme al cameraman, nello stabile in cui risiedeva la persona offesa. In tale sede aveva esercitato violenza in modo idoneo a privare la persona offesa coattivamente della libertà di determinazione e di azione, dapprima impedendole di accedere alla palazzina dove era situata la sua abitazione e costringendola a tollerare la loro presenza con una serie insistente di domande alle quali, fin da subito, la persona offesa dichiarava di non voler rispondere, e, successivamente, impedendole di rientrare nel proprio appartamento. L’intervistatore le aveva, infatti, ostacolato la chiusura delle porte dell’ascensore e aveva rivolto alla persona offesa ulteriori domande concernenti fatti per cui la stessa era stata sottoposta a procedimento penale insieme ad altri, continuando a pretendere risposte, ancorché la persona offesa si fosse rifiutata in più occasioni in modo espresso di essere intervistata e ripresa con immagini che venivano successivamente trasmesse nel programma televisivo.

Avverso la sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure a cinque motivi.

I motivi di ricorso di maggior interesse sono il primo e il terzo.

 

Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all’elemento materiale del reato. In particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso di confrontarsi con le censure difensive tese a evidenziare come tale condotta non sarebbe sufficiente a integrare la fattispecie delittuosa di violenza privata, atteso che né violenza né minaccia hanno accompagnato le riprese video della persona offesa.

 

Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 51 cod. pen., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello escluso che la scriminante del diritto di cronaca si applichi quando il fatto è commesso nel procacciarsi la notizia. Così argomentando, e omettendo qualsivoglia operazione di bilanciamento di diritti e interessi in gioco, sia in astratto sia in concreto, la Corte territoriale avrebbe disatteso la giurisprudenza di questa Corte, la quale, in linea con talune decisioni della Corte di Strasburgo, ha ritenuto che, in tema di esercizio del diritto di cronaca, la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. sia configurabile non soltanto rispetto ai reati commessi con la pubblicazione della stessa, ma anche in relazione a delitti commessi al fine di procacciarsi la notizia. Secondo un orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954-05), infatti, un’interpretazione convenzionalmente orientata (ex art. 10 CEDU, come interpretato dalla Grande Camera della Corte EDU nelle decisioni del 21 gennaio 1999, Frezzos Roire c. Francia e del 10 dicembre 2007, Sto/I c. Svizzera) dell’art. 51 cod. pen. imporrebbe al giudice di valutare se la divulgazione di un articolo (o di un servizio giornalistico, nel caso di specie) apporti un contributo ad un dibattito pubblico su un tema di interesse generale e se, nelle particolari circostanze del caso concreto, l’interesse di informare la collettività prevalga sui “doveri e responsabilità” che gravano sui giornalisti.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così sintetizzati:

 

–     con riferimento all’elemento oggettivo del reato, la sua sussistenza si evince dall’esercizio, da parte del ricorrente, di una reiterata, oppressiva e insistente pressione esercitata sulla persona di G.S., per il tramite dell’imposizione di domande, di riprese video e di posture fisiche, cui la persona offesa tentava invano di sottrarsi. Si tratta, dunque, di una condotta che, costringendo la vittima ad un “patii”, ben può ricondursi a quella peculiare forma di violenza privata indicata dalla costante giurisprudenza di legittimità quale “violenza impropria”, vale a dire un tipo di coartazione dell’altrui libertà che si attua attraverso l’uso di mezzi anormali (ai quali è riconducibile quella forma di insistente e reiterata pressione compiuta dall’imputato);

 

–     con riferimento alla censura vertente sull’omessa operazione di bilanciamento di diritti e interessi in gioco, il diritto all’informazione non può essere invocato per giustificare forme illecite di compressione della libertà privata, quando non valori destinati a proteggere ancora più intensamente la persona, anche se la condotta sia commessa per carpire informazioni alla fonte. In aggiunta, la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca rileva solo in relazione ai reati compiuti con la pubblicazione della notizia e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia medesima.

La Cassazione mostra pertanto, di non condividere quell’orientamento in base al quale la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca è configurabile anche in relazione al delitto di ricettazione commesso al fine di procacciarsi la notizia e non soltanto rispetto ai reati commessi con la pubblicazione della stessa. Tale criterio finalistico non ha un reale significato selettivo, al più potendosi verificare se sussista, in astratto, un nesso di strumentalità tra il fatto commesso e l’accesso all’informazione. Ciò detto, risulta chiaro che già sul piano astratto non appaiono comparabili l’interesse all’acquisizione della notizia e valori diversi dalla tutela della reputazione, giacché, a ritenere altrimenti, anche il furto o la rapina o persino reati diretti a ledere l’integrità fisica altrui potrebbero essere scriminati.

In conclusione, nel caso concreto, il giornalista ben avrebbe potuto limitarsi a dare l’unica notizia possibile: ossia che l’interessata, richiesta di fornire una propria versione dei fatti, si era rifiutata.

Del resto, se si pensasse che la ricerca delle notizie possa spingersi sino al sacrificio della libertà personale di qualunque potenziale fonte, si attribuirebbe al giornalista un potere inquisitorio persino superiore a quello di cui è dotata la pubblica autorità nel caso di commissione di reati.

(…)

Dispositivo

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

- Published posts: 85

webmaster@deiustitia.it

Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.