
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
In tema di messa alla prova, il giudice non può modificare il programma di trattamento introducendo, senza il consenso dell’imputato, una prescrizione più gravosa, quale il risarcimento del danno a favore della persona offesa. In ogni caso, inoltre, una corretta esegesi dell’art. 168-bis, co. 2 c.p. impone di ritenere ingiustificata la necessaria subordinazione della sospensione del procedimento con messa alla prova all’integrale ristoro dei danni a favore della vittima.
Svolgimento del processo
A seguito di richiesta proposta mediante procuratore speciale, il Tribunale di Reggio Calabria ha ammesso l’imputato (a processo per il reato di danneggiamento aggravato) alla messa alla prova, disponendo la sospensione del processo.
Avverso l’ordinanza del Tribunale l’imputato, tramite il proprio difensore, ha presentato ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della decisione per violazione di legge.
L’imputato ha lamentato, in primo luogo, che, senza acquisire il suo consenso, il giudice, in violazione dell’art. 464-quater c.p.p., abbia modificato il programma di trattamento, disponendo che provvedesse al risarcimento del danno materiale subito dalla persona offesa, quantificato in € 2623,00. Secondo quanto prospettato dal ricorrente, tale violazione vulnera il diritto di difesa e, pertanto, integra una nullità generale a regime intermedio.
In secondo luogo, ha lamentato che, nonostante l’art. 168-bis c.p. stabilisca che il beneficio comporti il risarcimento solo “ove possibile”, il giudice, senza operare alcun accertamento circa le condizioni economiche dell’imputato, abbia invece subordinato la messa alla prova al risarcimento del danno.
Motivi della decisione
(…)
Prima di procedere all’esame della pronuncia, può essere utile un breve inquadramento dell’istituto della messa alla prova.
L’istituto presenta una natura ambivalente: sostanziale, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma anche processuale, perché consiste in un nuovo procedimento speciale, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del rito penale con messa alla prova, applicata senza una vera e propria pronuncia sulla responsabilità del soggetto.
Con riferimento alla disciplina della messa alla prova, la sua collocazione risiede in parte nel codice penale (artt. 168-bis – 168-quater) e in parte nel codice di rito (artt. 464-bis –464-novies e 657-bis) e rispecchia l’esigenza di ricercare una sintesi tra la volontà di dar spazio alle potenzialità risocializzanti e riparative dell’istituto e quella di fronteggiare le pressanti istanze securitarie provenienti dall’opinione pubblica. Quanto detto ha determinato l’inserimento di stringenti limiti oggettivi e soggettivi alla fruibilità della misura, tratteggiati dall’art. 168-bis c.p.
Rilevante, in particolare, ai fini della presente nota, è la lettura congiunta dell’art. 168-bis c.p. e dell’art. 464-bis c.p.p. dalla quale si ricava il reticolato di prescrizioni e opportunità rispettivamente imposte e offerte al soggetto sottoposto all’istituto e che si possono così suddividere:
a) obblighi a contenuto relazionale, volti a promuovere condotte prosociali (l’affidamento dell’imputato al servizio sociale; il coinvolgimento di quest’ultimo, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale; lo svolgimento di attività di volontariato);
b) obblighi a contenuto sanzionatorio (la prestazione di lavoro di pubblica utilità);
c) obblighi limitativi della libertà (l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, ovvero relative alla dimora, alla libertà di movimento o al divieto di frequentare determinati locali);
d) obblighi a contenuto latamente riparatorio (gli impegni che l’imputato assume al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, tra cui il risarcimento del danno e le restituzioni);
e) opportunità di intraprendere un percorso di mediazione con la persona offesa.
Venendo ora alla pronuncia qui annotata, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata.
Dopo aver evidenziato che dagli atti allegati al ricorso emerge la mancata acquisizione del consenso dell’imputato alla modifica del programma trattamentale, il giudice di legittimità richiama la propria costante giurisprudenza in base alla quale tale consenso deve essere ritenuto vincolante. In tal senso depongono sia il dato normativo (art. 464-quater, co. 4, c.p.p.) che la struttura stessa dell’istituto. La messa alla prova è, invero, rimessa all’iniziativa dell’imputato, nell’ambito della quale il programma di trattamento deve essere elaborato in accordo con l’ufficio esecuzione penale esterna. Ne discende che il giudice può, se ritiene il ricordato programma inidoneo, modificarlo, ma non può introdurre prescrizioni più gravose senza il consenso dell’imputato.
Nonostante il secondo motivo di doglianza sia ritenuto assorbito dall’accoglimento del primo, la Suprema Corte effettua talune considerazioni anche in merito all’indicazione contenuta nell’art. 168-bis, co. 2 c.p. Dalla locuzione “ove possibile” si ricava il carattere sì prescrittivo ma non assoluto di tale indicazione.
Ne consegue che non può ritenersi giustificata la necessaria subordinazione della sospensione del procedimento con messa alla prova all’integrale ristoro dei danni a favore della persona offesa. Sulla scorta di quanto sin qui osservato, dunque, l’inciso di cui all’art. 168-bis, co. 2 c.p. va interpretato nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere “ove possibile” al pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima. Laddove ciò non sia possibile, il giudice, esercitando i propri poteri ufficiosi, deve verificare che il ristoro rifletta comunque lo sforzo massimo pretendibile dall’imputato in considerazione delle sue condizioni economiche.
(…)
Dispositivo
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.