
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Non è configurabile il delitto di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, di cui all’art. 391-ter c.p., nel caso in cui sia introdotta in un istituto penitenziario, da parte di persona ammessa ai colloqui con detenuto, una scheda SIM, al fine di metterla a disposizione di quest’ultimo, non essendo consentita l’interposizione analogica della norma incriminatrice, in ragione dei principi della riserva di legge e di determinatezza della fattispecie.
Il fatto
Il Procuratore Generale presso la Corte dei Appello di Campobasso propone ricorso immediato per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso che ha assolto l’imputata E.C. dal reato di cui all’art. 391 ter c.p.
Con un solo motivo si deduce il vizio di violazione di legge in relazione erronea esclusione della configurabilità del reato, nonostante l’imputata avesse introdotto in carcere una scheda SIM a lei intestata, occultandola nel suo reggiseno.
Il ricorrente sostiene che il 391 ter c.p. sia stato introdotto dal legislatore per arginare il fenomeno di introduzione in carcere di apparecchi cellulari: evidenzia però che la norma incriminatrice, così come emanata dal legislatore, si riferisce sia ad apparecchi telefonici, sia ad “altro dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni”, senza precisare in alcun modo se tali strumenti debbano, di per sé soli, consentire la comunicazione o meno.
Sulla base di ciò, anche la scheda SIM è da considerare un dispositivo idoneo a consentire la comunicazione.
Di contro, il difensore dell’imputata, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha in particolare dedotto una suggestiva interpretazione della norma incriminatrice in aperta violazione del principio di tassatività.
La decisione
Il motivo analizzati dalla Suprema Corte può essere così articolato:
per la Suprema Corte, il ricorso risulta infondato.
Con riferimento alla norma codicistica, il reato in esame è stato introdotto al fine di rispondere all’esigenza di contrastare le comunicazioni con l’esterno, diverse da quello specificamente autorizzate, da parte dei detenuti a regime detentivo ordinario.
Da qui, pertanto, l’intervento penalistico; a fronte di tale ratio, in dottrina si è sostenuto che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie del 391 ter c.p. va individuato nell’esigenza di garantire l’effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere.
Il tema che il ricorso pone attiene all’oggetto materiale delle condotte sanzionate, in particolare, alla possibilità di considerare la sola scheda SIM (Subscriber Identity Module, modulo d’identità dell’abbonato) quale “apparecchio telefonico” o quale “dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”.
Secondo la Corte di Cassazione è necessario, per risolvere la questione, analizzare la funzione della scheda SIM per verificare se questa rientra tra i possibili significati di una delle due locuzioni in questione.
Anzitutto, la scheda costituisce un accessorio che può essere inserito all’interno di un telefono cellulare, che di altri dispositivi, quali tablet, router portatili ecc.
A seconda della tipologia, la scheda SIM consente a questi dispositivi di associare il dispositivo al proprio profilo cliente e fornirgli i servizi acquistati.
Ribadisce allora la Cassazione, la scheda SIM dunque è un accessorio del telefono cellulare o di altri dispositivi idonei, sopra esemplificati, che consente di accedere al servizio fornito da un operatore di telefonia.
Va però oltremodo evidenziato che tale scheda costituisce un accessorio non indispensabile per tale finalità, potendo ad esempio, accedere ad internet attraverso un telefono o tablet o personal computer, condividendo la connessione alla rete con altro dispositivo munito di scheda SIM, attraverso la funzione hotspot.
Al contrario, la sola scheda senza il dispositivo in cui è inserita, non è di per sé idonea a consentire le comunicazioni.
Ritiene la Corte che le condotte incriminate dall’art. 391-ter c.p. possono avere quale oggetto solo un apparecchio telefonico o “altro dispositivo”, considerati nella loro unitarietà, con esclusione delle loro parti che eventuali accessori, quali ad esempio la sola scheda SIM.
Ribadisce la Corte che il legislatore ha inteso sanzionare condotte riferite a parti di determinati beni, espressamente: pertanto, in assenza di tale esplicita previsione normativa, deve ritenersi che un ampliamento del significato delle due locuzioni impiegate dal legislatore (quindi, “apparecchio telefonico” e “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”) al fine di ricomprendervi anche la sola scheda SIM si risolve non in una interpretazione estensiva di tali locuzioni, bensì in una consentita operazione di estensione analogica della fattispecie incriminatrice e, dunque, nella violazione dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie (cfr. Corte Cost., sent. 98/2011).
Difatti, nessuna delle due locuzioni sopra riportate può assumere, tra i significati, anche quello di “carta SIM”.
Il cosiddetto “apparecchio telefonico”, come inteso dal legislatore ma anche per etimologia linguistica, si riferisce ai dispositivi che consentono la comunicazione a distanza tra gli utilizzatori. Per cui, vengono a tale riguardo in rilievo, telefoni fissi, mobili, smartphone ecc.
Anche la locuzione “altro dispositivo idoneo ad effettuare le comunicazioni” si riferisce agli altri dispositivi che, seppur diversi da quelli sopra, sono accomunati a questi dalla medesima destinazione funzionale.
Ciò emerge dalla struttura della norma ma anche dal punto di vista semantico, dove il termine “dispositivo” si riferisce ad un apparecchio e/o apparato destinato a svolgere una specifica funzione.
L’alternativa previsione degli “altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni”, non può dunque riferirsi a “parti” degli apparecchi telefonici, ma risponde ad un esigenza di tecnica legislativa volta a ricomprendere in un’unica locuzione tutti i dispositivi diversi dagli apparecchi telefonici connotati dalla medesima destinazione funzionale.
Quindi, la soluzione ermeneutica affermata appare in coerenza con la ratio della norma incriminatrice, con la sua natura istantanea di reato.
Dalla formulazione della norma si evince che il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui, alternativamente viene procurato, introdotto, acconsentito l’uso del dispositivo al detenuto.
Qualunque sia la fattispecie che viene in rilievo, tra quelle contemplate dal primo comma dell’art., proprio in ragione del suo carattere istantaneo del reato è dunque necessario che l’apparecchio o il dispositivo oggetto della condotta incriminata sia completo e già di per sé idoneo a consentire la comunicazione. La norma punisce sia la mera ricezione che l’utilizzazione del dispositivo: in entrambi i casi, secondo un’interpretazione coerente con il principio di offensività del reato, impone di considerare quale oggetto delle condotte solo il dispositivo nella sua unitarietà.
Diversamente, ove si accedesse ad un’interpretazione che consente di sanzionare, ai sensi dell’art. 391-ter c.p., anche la mera ricezione della sola scheda SIM, si finirebbe per estendere la tutela penale a fatti privi di offensività.
Per non parlare delle caratteristiche tecniche della scheda SIM, la cui condotta di “utilizzazione” appare inconciliabile logicamente con siffatto oggetto, che è inidoneo da sé ad effettuare comunicazioni.
Anche già nei lavori preparatori alla norma, il legislatore ha preso in considerazione i telefoni cellulari e, dunque, apparecchi telefonici nella loro unitarietà. Oltre agli specifici riferimenti terminologici, nel corso dei lavori parlamentari è stato analizzato il regime sanzionatorio antecedente l’entrata in vigore del D.L. 130/2020 proprio in merito alla messa a disposizione di un telefono cellulare a favore del detenuto, distinguendosi tra la configurabilità del reato di favoreggiamento e l’illecito disciplinare ravvisabile in relazione al possesso di telefoni cellulari da parte di detenuti.
Conclude la Corte che anche in dottrina, dato che si è cercato di esemplificare le due locuzioni usate dal legislatore, si è fatto riferimento ai telefoni cellulari, ai trasmettitori audio, nonchè agli apparecchi telefonici installati in carcere o ai telefoni cellulari in uso al personale penitenziario: in ogni, dispositivi considerati nella loro unitarietà.
La Corte chiarisce infine che le considerazioni esposte attengono esclusivamente al significato delle due locuzioni utilizzate dal legislatore ed alla impossibilità di includervi la condotta che ha oggetto esclusivamente una scheda SIM: diversa risulterebbe l’ipotesi in cui, contestualmente all’introduzione di una scheda SIM in istituti penitenziario, venisse rivenuto nella disponibilità dei detenuti un dispositivo ove la SIM potrebbe essere inserita, o nel caso in cui venisse accertato che il detenuto era in grado di fare “affidamento” su un dispositivo di un operatore penitenziario “compiacente” o corrotto.
Esulano dal confine della norma incriminatrice tutte le diverse condotte connotate dal frazionamento del singolo dispositivo o dall’introduzione in tempi diversi delle singole parti: ciò perché, l’oggetto materiale delle condotte alternativamente incriminate dall’art. 391-ter c.p. si riferisce non a singole parti materiali e/o accessori, ma al dispositivo immediatamente utilizzabile, eventualmente anche in ragione della sussistenza delle condizioni per la comunicazione con l’esterno.
Difatti, tali condotte si pongono in netto contrasto con il principio di legalità e di tassatività, spettando al solo legislatore la valutazione in merito all’eventuale modifica della norma incriminatrice e all’estensione dell’oggetto materiale delle condotte tipizzate anche alle parti o agli accessori dei dispositivi destinati alle comunicazioni.
Conclusioni
La Suprema Corte reputa non ammissibile il ricorso e lo rigetta per la motivazione sopra enunciate.