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Il consiglio di stato si pronuncia sul riconoscimento dei titoli professionali conseguiti in al-tri stati dell’unione europea. – Cons. Di stato, sez. III, 8 gennaio 2025, n. 100.

- 3 Aprile 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

È illegittimo il diniego opposto dal Ministero della salute alla richiesta di mutamento della misura compensativa (nella specie, avendo il soggetto richiedente dapprima optato per la prova attitudinale e, in seguito al mancato superamento, per il tirocinio di adattamento) a cui era stato originariamente condizionato il riconoscimento della qualifica professionale di igienista dentale conseguita all’estero. Difatti, al fine di dare piena e completa attuazione alle libertà assicurate dagli articoli 45 e 49 TFUE, l’amministrazione è tenuta ad interpretare la normativa interna e sovranazionale nel senso di facilitare e non di ostacolare il riconoscimento delle qualifiche, inoltre le direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi – e, in particolare, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005 – non possono avere come obiettivo o come effetto quello di rendere più difficile il riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate.

Il fatto 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 100/2025, si è pronunciato in merito ad una richiesta di mutamento della misura compensativa a cui era stato condizionato il riconoscimento della qualifica professionale di igienista dentale, conseguita in Spagna.

Nello specifico, nel caso di cui trattasi, il Ministero della Salute aveva inizialmente subordinato il riconoscimento del suddetto titolo ad una misura compensativa costituita, alternativamente, da una prova attitudinale o da un tirocinio di adattamento di 24 mesi presso un’Università italiana, a scelta della parte istante.

È bene precisare che, parte istante, ai fini del riconoscimento in Italia del titolo di igienista dentale, aveva inizialmente optato per lo svolgimento di prova attitudinale, costituita da un esame scritto e orale, sostenuta per due volte con esito negativo.

Di talché, a causa dell’incapacità di superare la suddetta prova, parte istante richiedeva al Ministero di optare per il tirocinio di adattamento.

Di contro, il Ministero, con il provvedimento impugnato dalla ricorrente, negava tale prospettiva adducendo ragioni di ordine organizzativo dell’Amministrazione nonché perché ipotesi non contemplata dalla normativa di riferimento (art. 23 c. 2 del D.lgs. n. 206/2007 e D.M. n. 268/2010).

Di conseguenza, a seguito del procedimento di primo grado, il Tribunale Amministrativo capitolino respingeva il ricorso, ritenendo la possibilità di modificare la scelta già selezionata non prevista dall’art. 23 del d.lgs. n. 206/2007, il cui comma secondo prevede soltanto la possibilità che la prova attitudinale sia ripetuta qualora l’esito sia sfavorevole ed il cui comma terzo stabilisce la possibilità per le amministrazioni di individuare un limite massimo di ripetizioni.

Inoltre, il T.a.r. ha ritenuto non accogliere anche la circostanza addotta da parte ricorrente secondo cui l’Amministrazione avesse, nel recente passato, consentito di procedere in un secondo momento alla modifica della scelta originariamente effettuata dall’interessato.

Dunque, parte appellante, riproponendo le censure già formulate nel primo grado di giudizio, ed in parte non esaminate dal Tribunale Amministrativo Regionale, ha impugnato la decisione lamentando la violazione della Direttiva n. 2005/36/CE e degli artt. 45 e 49 del TFUE (libertà di circolazione delle persone e dei servizi e libertà di stabilimento).

Inoltre, sotto diverso e ulteriore profilo, l’appellante deduceva che la normativa nazionale (D.Lgs. n. 206/2007) avrebbe dovuto essere interpretata in senso favorevole alla parte istante, nel senso di favorire il riconoscimento delle qualifiche professionali, senza porre limiti non previsti espressamente dal legislatore.

A sostegno di tale ultima ricostruzione, l’appellante ha evidenziato come l’art. 14, par. 2, della Direttiva n. 2005/36/CE stabilisce in maniera chiara un diritto di scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale, anche in una fase successiva al momento in cui l’opzione viene esercitata per la prima volta, diritto che non può essere precluso senza una disposizione espressa e motivata da parte dell’Amministrazione.

Peraltro, l’appellante evidenziava che l’espletamento del tirocinio di adattamento da svolgersi presso le Università italiane, concretandosi in un vero e proprio corso universitario integrativo della durata di 2 anni e 3000 ore di studio teorico/pratico, sarebbe stato idoneo a garantire in maniera più efficace il rispetto dei migliori standard per l’esercizio della professione di igienista dentale, diversamente da quanto accade, invece, con la prova dalla prova attitudinale, che consente di conseguire immediatamente il riconoscimento definitivo.

L’Amministrazione si costituiva in giudizio con breve memoria difensiva, chiedendo il rigetto dell’appello proposto e la conferma della decisione impugnata.

Con ordinanza il Collegio accoglieva la domanda cautelare ai fini dell’ammissione con riserva al tirocinio formativo.

L’Amministrazione, di conseguenza, ottemperava al disposto cautelare, risultando l’appellante immatricolata presso il corso di laurea di “Igiene dentale” dell’Università -OMISSIS-.

All’udienza pubblica del 14 novembre 2024 l’appello è stato introitato per la decisione.

La decisione

Il Consiglio di Stato, all’esito del giudizio in appello, accoglie le doglianze formulate.

Prima di pronunciarsi nel merito della vicenda, il Consiglio di Stato ritiene opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali, diretto alla massima armonizzazione delle procedure di riconoscimento, al fine di dare piena e completa attuazione alle libertà assicurate dagli articoli 45 e 49 TFUE.

Ebbene, sulla base di tale orientamento, si presume che il giudice nazionale e l’amministrazione sono tenuti a fornire un’interpretazione elastica delle norme nazionali, al fine di non ostacolare la piena e compiuta attuazione delle suddette libertà.

Infatti, la Corte di Lussemburgo ritiene che, se gli Stati Membri potessero discrezionalmente negare il godimento delle libertà garantite dagli articoli 45 e 49 TFUE a quei cittadini che abbiano fatto uso delle agevolazioni previste dal diritto dell’Unione e che abbiano acquisito, grazie a queste ultime, qualifiche professionali in uno Stato membro diverso da quello di cui essi possiedono la cittadinanza, ne deriverebbe una illegittima negazione del principio comunitario della libera circolazione delle persone.

Ancora, la Corte di Lussemburgo ha poi precisato che le autorità di uno Stato membro – alle quali un cittadino dell’Unione abbia presentato domanda di autorizzazione all’esercizio di una professione il cui accesso, secondo la legislazione nazionale, è subordinato al possesso di un diploma o di una qualifica professionale, o anche a periodi di esperienza pratica – sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale.

In ultimo, appare evidente come la disciplina comunitaria, definita dalle direttive in materia di riconoscimento dei titoli, e in particolare la Direttiva 2005/36, non possano ostacolare o rendere più difficile il riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate.

Il consiglio di Stato, quindi, dopo aver esaustivamente richiamato i principi euro-comunitari e dopo attenta analisi della normativa nazionale applicabile al caso di specie, non ritiene condivisibili le motivazioni addotte dall’Amministrazione a fondamento della scelta di negare alla parte istante la facoltà di modificare la scelta inizialmente effettuata.

Passando in rassegna la seconda motivazione, di ordine formale, incentrata sulla mancata espressa previsione normativa del diritto di ripensamento da parte dell’istante, osserva il Collegio che la facoltà di modificare la scelta inizialmente effettuata è stata ricondotta dall’amministrazione e dal T.a.r. ad una sorta di jus poenitendi, non esercitabile perché non previsto dall’art. 23 del D.Lgs. n. 207/2006.

Ma, ad avviso del supremo consesso, la statuizione omette di considerare che, nel caso di specie, la richiesta di modifica non rappresenta l’esercizio di un ripensamento legato a scelte personali od organizzative di parte, quanto piuttosto la presa d’atto dell’incapacità di superare la prova attitudinale, avendo l’istante rappresentato l’esigenza di seguire un più completo e duraturo ciclo di studi universitari, al fine di colmare il differenziale di conoscenze teorico/pratiche necessario ad esercitare la professione di igienista dentale in Italia.

Pertanto, lo svolgimento del tirocinio formativo rappresentava, in concreto, l’unica modalità rimasta a disposizione della parte istante per l’esercizio dell’attività professionale e, come tale, avrebbe dovuto costituire oggetto di valutazione da parte del Ministero, tenuto ad interpretare la normativa interna e sovranazionale nel senso di facilitare e non di ostacolare il riconoscimento delle qualifiche.

Per quanto riguarda, invece, la seconda motivazione posta a fondamento del diniego opposto dal Ministero, attinente all’aggravio procedimentale che un’eventuale ripensamento di parte istante avrebbe potuto ingenerare, tale paventato pericolo, secondo il Consiglio di Stato, non si pone in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell’attività amministrativa, i quali possono subire eccezioni per consentire la piena attuazione dei principi della libera circolazione e di stabilimento previsti dagli articoli 45 e 49 TFUE, nonché in ragione della specificità e peculiarità della fattispecie concreta.

Per i motivi sopra enucleati, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello in parola e, in riforma della decisione impugnata, ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.

Conclusioni

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso ed annulla il provvedimento impugnato.

In ultimo, condanna il Ministero della Salute al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida nella somma complessiva di € 4.000,00, oltre accessori di legge.

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