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Il familiare dell’imputato non può astenersi dal deporre come testimone, se questa è la persona offesa denunciante – Corte Costituzionale 16 dicembre 2024 n. 200

- 2 Aprile 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

La Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Firenze.

Il fatto 

Il processo da cui traeva origine la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze riguardava delle lesioni consumate dal padre ai danni della figlia.

Siccome quest’ultima presentava atto di denuncia-querela non poteva beneficiare della facoltà di astensione ai sensi dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen.

Durante la sua escussione testimoniale, in qualità di persona offesa dal reato, la vittima deduceva episodi molto più circoscritti e meno gravi rispetto a quanto enunciato nella notitia criminis, nonché rendeva molte dichiarazioni contrastanti con il verbale di sommarie informazioni, il verbale di Pronto Soccorso, nonché con l’impianto probatorio acquisito durante le indagini preliminari.

Ravvisando indizi di reità in riferimento al reato di falsa testimonianza, il Giudice rimettente avrebbe dovuto trasmettere, ai sensi dell’art. 207, comma 2, cod. proc. pen., gli atti al Pubblico Ministero.

Nella sede, tuttavia, il Tribunale di Firenze, in funzione di Giudice Monocratico, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen. «nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione per la persona offesa dal reato», o, in subordine, nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione alla medesima facoltà di astensione anche nell’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto persona offesa dal reato non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

In particolare, il Giudice remittente si interrogava su due questioni: sull’utilizzabilità della deposizione della persona offesa; e, sulla necessità di disporre l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché proceda a norma di legge nei confronti della persona offesa, e perciò sollevava le riferite questioni di legittimità costituzionale.

I quesiti proposti sarebbero rilevanti per due motivi.

In primis, perché dalla eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata deriverebbe la nullità della acquisita deposizione testimoniale per omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà di astenersi.

In secundis, perché se le questioni dovessero essere accolte, non sarebbe nel caso in esame integrato il reato e non andrebbe perciò informato il pubblico ministero, in quanto la dichiarazione non veritiera risulterebbe resa da persona che aveva facoltà di astenersi dal testimoniare e non ne era stata avvertita.

Il Giudice rimettente ravvisava nell’eccezione prevista dall’art. 199, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen., un contrasto con gli artt. 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

La deroga alla facoltà di astensione della persona offesa veniva definita come irragionevole e non proporzionata per il suo carattere incondizionato e assoluto, non potendosi distinguere l’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto offeso dal reato sia essenziale per l’accertamento dei fatti da quella in cui la stessa sia ultronea.

Inoltre, l’obbligo di deporre ignorerebbe il dilemma interiore tra il rendere una testimonianza veritiera, rischiando così di compromettere il proprio rapporto con l’imputato, e il dichiarare il falso, con l’effetto che la vittima del reato – anziché essere salvaguardata – verrebbe costretta a sottoporsi all’esame ed esposta all’accusa di falsa testimonianza.

In questi termini, la ratio dell’art. 199 cod. proc. pen. è attuare gli artt. 29 Cost. e 8 CEDU, tutelando – tramite la facoltà di astensione dal deporre – il sentimento familiare.

In altri termini, il legislatore individua sulla base di tipici rapporti giuridici, che taluni soggetti siano portatori – secondo l’id quod plerumque accidit – di interessi privati ancorati al sentimento familiare, ritenendoli prevalenti su quello pubblico all’accertamento dei reati[1].

Dunque, stando alle motivazioni del rimettente, tali esigenze di tutela risulterebbero violati per la irragionevole esclusione di tale facoltà in favore del prossimo congiunto che sia anche persona offesa dal reato.

In via primaria, il Tribunale di Firenze riteneva illegittima la norma nella parte in cui privava di rilievo il rapporto familiare, facendo riemergere l’obbligo di deporre, per il solo fatto che il congiunto sia offeso dal reato, in modo discordante con il principio di presunzione di innocenza dell’imputato, di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., operando la disposizione censurata sulla base di una mera ipotesi accusatoria a carico dell’imputato.

In via gradata, si chiedeva la dichiarazione di illegittimità costituzionale, nella parte in cui privava della facoltà di astenersi dal deporre il prossimo congiunto, che sia persona offesa dal reato, anche nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, e quindi tanto meno si giustificherebbe il sacrificio del diritto del testimone di salvaguardare il proprio rapporto familiare.

[1] In modo sovrapponibile si pone il ragionamento alla base della causa di esclusione della colpevolezza espressa dall’art. 384 cod. pen. Secondo la giurisprudenza, la disposizione «trova la sua giustificazione nell’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà “familiare” in senso lato, essendo l’intenzione del legislatore quella di riconoscere prevalenti e quindi tutelare i motivi di ordine affettivo»

La decisione

Le questioni di legittimità costituzionale venivano indicate come non fondate.

In via preliminare, il Giudice delle Leggi descriveva il meccanismo normativo dell’art. 199 cod. proc. pen. Esso detta la disciplina dello ius tacendi riconosciuto dall’ordinamento ai prossimi congiunti dell’imputato, disponendo che gli stessi non sono obbligati a deporre e perciò il giudice, a pena di nullità, deve avvisarli della facoltà di astenersi e chiedere loro se intendono avvalersene.

Il fondamento della facoltà di astensione attribuita ai prossimi congiunti è duplice: da un lato, mira a preservare la genuinità della prova, evitando false testimonianze scriminate ai sensi dell’art. 384 cod. pen.; dall’altro, tutela il vincolo e il sentimento familiare, allo scopo di evitare che colui il quale è chiamato a testimoniare si trovi nell’alternativa di mentire oppure di nuocere al congiunto.

Nel dettare le regole della possibilità di astensione dei familiari, il legislatore bilanciava due interessi contrapposti: quello pubblico, volto all’accertamento della verità materiale dei fatti, i quali implicano l’esigenza di non disperdere una fonte primaria di notizie, quale può rivelarsi il prossimo congiunto dell’imputato; e gli interessi privati implicati dal rispetto della sfera di affetto e di fiducia che connota le relazioni familiari.

Il comma 1, primo periodo, dell’art. 199 cod. proc. pen. dà, quindi, prevalenza a quest’ultima esigenza, contemperandola con l’eccezione di cui al comma 1, secondo periodo.

Quest’ultima – secondo la Corte Costituzionale – non è irragionevole, risultando coerente sia con l’esigenza pubblicistica che con quella di tipo privato.

Nel primo senso, l’esclusione vuole preservare la genuinità della prova in riferimento alla persona che direttamente era titolare dell’interesse offeso dal reo familiare; nel secondo, vale a preservare la vittima da possibili intimidazioni, provenienti dallo stesso ambito familiare, che ne coartino in tal senso la volontà.

Tra l’altro, proprio per la circostanza rappresentata dalla denuncia resa da parte del congiunto, persona offesa dal reato, l’esigenza di protezione della vita familiare, che sorregge il privilegio dell’astensione, è già venuta meno, sicché è pure stato già risolto il conflitto interno tra obblighi di natura affettiva e obblighi di legge.

La disposizione, dunque, non appare lesiva della salvaguardia dell’unità familiare (art. 29 Cost.) e del diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 CEDU).

Infatti, secondo la Corte EDU:

«costringere una persona a deporre in un procedimento penale contro un congiunto costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della “vita familiare”, sicché tale testimone va sollevato dal dilemma morale di dover scegliere tra il rendere una deposizione veritiera, rischiando in tal modo di compromettere il suo rapporto con l’imputato, o il rendere una testimonianza inattendibile o falsa, per proteggere quel rapporto. La facoltà di astenersi dal testimoniare costituisce, in ogni modo, una dispensa da un normale dovere civico ritenuto di pubblico interesse. Pertanto, qualora sia riconosciuta, essa può essere subordinata a condizioni e formalità, esigendo il bilanciamento di due interessi pubblici concorrenti, ovvero l’interesse pubblico al perseguimento di gravi reati e quello alla protezione della vita familiare dall’ingerenza dello Stato»[1].

Dunque, anche ripercorrendo la giurisprudenza sovranazionale, è giustificabile negare l’esercizio della facoltà di astenersi dal testimoniare alla persona offesa dal reato, la quale riveste il ruolo di interlocutore privilegiato, se non essenziale, nell’accertamento dei fatti, e ciò anche a prescindere dalla condizione dell’assoluta necessità della sua deposizione, ai fini della decisione, rispetto a quanto altrimenti acquisito.

Priva di pregio è la considerazione riguardante la presunzione di non colpevolezza. Questa, infatti, pone esclusivamente una regola di trattamento dell’imputato nel corso del processo e una regola di giudizio che non vengono scalfite dalla negazione della facoltà di astensione in esame.

Infine, la Corte Costituzionale neppure dava seguito alla richiesta gradata, ossia dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui priva della facoltà di astenersi dal deporre il prossimo congiunto, che sia persona offesa dal reato, anche nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti.

La richiesta si traduceva in una pronuncia fortemente “manipolativa”, chiedendo un intervento di spettanza del legislatore.

Infatti, dando seguito alla richiesta del Giudice rimettente, si sarebbe introdotto un vaglio preliminare ad opera del giudice sul contenuto della deposizione, i cui caratteri e modalità non trovano alcun fondamento legislativo nel sistema processualpenalistico attuale.

Conclusioni

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate devono essere dichiarate non fondate.

[1] Corte EDU, grande camera, sentenza 3 aprile 2012, Van der Heijden contro Paesi Bassi e sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2018, Kryževiius contro Lituania

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