
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela.
Il fatto
La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 16.09.2022 dal Tribunale di Palermo, con la quale veniva riconosciuto colpevole per il reato di cui agli artt. 56, 624 e 625, nn. 2 e 7 cod. pen. l’imputato F. P. M. – in concorso con La M. L. e La M. A. – e condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 120,00 di multa.
In particolare, veniva ritenuto infondato il motivo con il quale si deduceva che l’immobile, oggetto del tentativo di asportazione di parte della copertura, doveva considerarsi quale res nullius, rilevando come l’immobile stesso fosse perimetrato da una stabile rete di recinzione finalizzata a evitare l’accesso di estranei, tale da escludere che il proprietario avesse implicitamente manifestato l’intenzione di disfarsi definitivamente del bene.
Venivano, poi, rigettati i motivi fondati sull’art. 131 bis, quello inerente al trattamento sanzionatorio nonché quello inerente alla mancata sostituzione della pena detentiva con quella della libertà controllata.
Avverso la decisione veniva proposto ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606, lett. b, cod. proc. pen., deducendo l’inosservanza della legge penale con riferimento agli artt. 336, 337 e c29 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56, 624 e 625 cod. pen., come modificato dal D. LGS. 150/2022.
In particolare, veniva evidenziato che nelle more del giudizio, il regime di procedibilità per il fatto ascritto era mutato, divenendo – il furto – procedibile a querela di parte.
La decisione
I ricorsi erano fondati.
In prima battuta, si rilevava che, in seguito alla c.d. riforma Cartabia (D. Lgs. 150 del 2022), la fattispecie contestata agli imputati (ossia gli artt. 624 e 625, nn. 2 e 7 cod. pen.) era divenuta procedibile a querela di parte, conservandosi il regime della procedibilità d’ufficio per l’aggravante di cui al numero 7 dell’art. 625 cod. pen. alle sole (e residue) ipotesi di fatti commessi su cose esistenti in uffici e stabilimenti pubblici o sottoposte a sequestro o pignoramento ovvero destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza.
L’art. 85 del suddetto decreto stabiliva che: «Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».
Interessando la riforma l’istituto della querela, considerato anche di natura sostanziale[1] e perciostesso sottoposto al principio di retroattività favorevole di cui all’art. 2 cod. pen., il nuovo regime di procedibilità introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022 trova applicazione anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Tale ragionamento era applicabile al caso di specie, in quanto la fattispecie diveniva a querela di parte.
Orbene, al fine di verificare la presenza della condizione di procedibilità, la Suprema Corte ribadiva un importante principio sul punto:
«il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela»[2].
Concretamente, la persona offesa dalla vicenda (A. B.) presentava denuncia-querela, adducendo di essere affittuario di un immobile sito nei pressi di quello interessato dalla condotta di tentata sottrazione dei materiali di copertura del capannone da parte dei ricorrenti e definito come in stato di abbandono.
Pertanto, rilevato che non era stata proposta alcuna istanza di punizione da parte di soggetto legittimato, la Corte emanava sentenza di annullamento senza rinvio nei confronti di M. e di La M. per difetto di querela.
Conclusioni
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M. F. P. e La M. L. perché l’azione penale non poteva essere proseguita per assenza di querela.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di M. L. limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
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[1] Per approfondire, Cass. Pen. Sez. II n. 12179 del 2023: «Il principio dell’applicazione della norma sopravvenuta più favorevole al reo opera anche con riguardo al regime di procedibilità»; e Cass. Pen. Sez. III n. 2733 del 1997: «Il regime di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale previsto dall’art. 609 “septies” cod.pen., introdotto dalla Legge 15 febbraio 1996, n.66, non può produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il problema dell’applicabilità dell’art.2 cod. pen., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto, specie quando il legislatore in una determinata materia modifichi profondamente fattispecie, pene, denominazione dei delitti, come è avvenuto in quella dei reati di violenza sessuale, sottratti all’area della moralità pubblica e concepiti come reati contro la persona».
[2] Cass. Pen. Sez. U, n. 40354/2013