
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Si configura un tentato omicidio e non violenza privata nel caso di lancio di una bottiglia, anche se di piccole dimensioni, da un cavalcavia, in quanto l’impatto provocato avrebbe potuto produrre come conseguenza anche l’evento morte, sia nel caso in cui l’oggetto avesse colpito il conducente e/o eventuali passeggeri, sia nel caso in cui, per effetto sorpresa derivante dall’urto, ciò avesse provocato la perdita di controllo del veicolo con rischio concreto di conseguente incidente stradale, coinvolgimento di altri veicoli ed effetti letali per i soggetti a bordo dei messi coinvolti.
Il fatto
Con la sentenza in esame la Corte di appello Sezioni Minorenni di Bari, in riforma di quella emessa in data 3 giugno 2021 dal Tribunale per i minorenni della stessa città, ha dichiarato il M.F. responsabile del tentato omicidio della persona contro la cui autovettura scagliava una bottiglia in vetro da un cavalcavia situato sulla strada statale e l’ha condannato a pena di giustizia.
La sentenza che di seguito verrà trattata, la prima Sez. Pen. Ha dato continuità alla più recente giurisprudenza di legittimità.
Secondo la conforme ricostruzione svolta dai Giudici di merito, il 20 agosto 2017 la persona offesa chiedeva l’intervento delle forze dell’ordine presso il cavalcavia situato al km 727 della statale e riferiva che, trovandosi alla guida della sua autovettura mentre stava percorrendo la corsia di sorpasso, aveva notato la presenza su detto cavalcavia di un ragazzo che, pochi istanti dopo, aveva lanciato una bottiglia contro la sua auto, proprio mentre egli stava avvicinando al cavalcavia in questione.
Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che la condotta fosse sussumibile nell’alveo del reato di violenza privata, richiamando un arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui “Integra il delitto di violenza privata, ex art. 610 c.p., il lancio sulla sede stradale di sassi di notevoli dimensioni, perché costringe gli automobilisti in transito a brusche frenate o a sterzate improvvise” (Sez. 5, Sentenza n. 20749 del 13/04/2010, A., Rv. 247592). Per tale via aveva escluso l’elemento psicologico del dolo diretto di omicidio “in considerazione del fatto che il conducente era riuscito a evitare con una semplice sterzata l’impatto con la bottiglia lanciata contro la sua auto e che la condotta posta in essere dal reo, anche apprezzata ex ante, non appariva di particolare gravità (si è trattato del lancio di una bottiglia di birra piccola e vuota)”.
Riteneva, infine, non pertinenti gli arresti della giurisprudenza di legittimità inerenti al lancio di oggetti da un cavalcavia, riguardanti la diversa ipotesi di lancio di oggetti di notevoli dimensioni, mentre nel caso oggetto di attenzione era evidente che l’intento dell’autore del lancio fosse solo quello di provocare brusche frenate o sterzate improvvise dell’automobilista, ciò che integrava il delitto di violenza privata. Ecco perché si escludeva così l’elemento psicologico del dolo diretto di omicidio.
Su appello del Pubblico ministero, il Giudice di secondo grado, quanto all’elemento psicologico ha avversato il percorso argomentativo del primo Giudice che ha ritenuto non persuasivo, giungendo ad una diversa qualificazione giuridica della condotta come tentativo di omicidio, ravvisando la configurabilità in capo all’imputato dell’elemento psicologico quam minime del dolo alternativo, pienamente compatibile con l’ipotesi tentata.
L’imputato, per mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandolo a un unico motivo.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della motivazione del giudice d’appello che ha ritenuto la condotta sorretta da dolo diretto, elemento compatibile con il delitto di tentato omicidio.
Dopo aver ricordato che il Giudice di primo grado aveva ritenuto la condotta sussumibile nell’alveo del reato di violenza privata, coerentemente con un caso analogo deciso dalla Suprema Corte (Rv. 247592), ha censurato il diverso approdo cui era pervenuta la Corte territoriale, non essendovi prova che l’imputato avesse agito con l’intento di uccidere la persona offesa, che neppure conosceva, la quale riuscì a evitare l’impatto con la bottiglia con una semplice sterzata dell’autovettura, e che, infine, aveva essa stessa dichiarato, in sede di udienza, che riteneva il lancio della bottiglia avvenuto “per giuoco”.
Sostiene, inoltre, il ricorrente che la condotta attuata, non apparendo di particolare gravità (poiché si è trattato del lancio di una bottiglia di piccole dimensioni e vuota), imporrebbe di escludere il dolo diretto, anche sotto forma del dolo alternativo, necessario ai fini della configurabilità della fattispecie che non può essere paragonata a quella del lancio di sassi dal cavalcavia, siccome oggetti di notevoli dimensioni e peso che lasciano invece certamente ritenere sussistente detto coefficiente psicologico.
L’animus superficiale del soggetto agente avrebbe dovuto indurre il giudice di secondo grado a confermare la qualificazione giuridica come delitto di cui all’art. 610 c.p.
Il Sostituto Procuratore Generale, intervenuto con requisitoria scritta in data 27 agosto 2024, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
La decisione
I giudici di legittimità ritengono il ricorso infondato.
Preliminarmente, la Corte precisa che la questione controversa è quella della qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’imputato.
Non è superfluo evidenziare che la Corte di Assise di Appello, nel pervenire ad una diversa qualificazione giuridica di tentato omicidio, non ha diversamente valutato le prove dichiarative ma si sia attenuta alla ricostruzione della vicenda compiuta dal Tribunale e ha riformato la sentenza di primo grado perché, valutando il medesimo compendio probatorio, ne ha tratto conseguenze divergenti esclusivamente in punto a diritto.
Si è dunque conformata all’orientamento prevalente per il quale “il giudice di appello che procede alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell’art. 603, co. 3-bis, c.p.p., non è tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti ad una diversa valutazione in termini giuridici di circostanza di fatto non controverse, senza porre in discussione le promesse fattuali della decisione riformata”.
Osserva, il Collegio come il Giudice di appello sia pervenuto alla riforma della decisione assolutoria assolvendo pienamente all’obbligo di motivazione ed “rafforzata”.
È fermo nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. La Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art. 603, co. 3-bis, c.p.p., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado compiendo il doveroso e puntuale confronto con la motivazione della decisione di assoluzione e dando contezza esplicita degli evidenti vizi logici che hanno minato la permanente sostenibilità del primo giudizio (si veda, Sez. 6, Sentenza n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01; Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, B., Rv. 272082 – 01; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, C., Rv. 262261).
Nel caso sottoposto all’attenzione, il Giudice di appello, dopo aver compiuto un confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, ha argomentato in merito alla configurabilità della diversa qualificazione giuridica come l’unica ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici e di inadeguatezze logiche, opportunamente evidenziati.
In appunto, a ragione della configurabilità del tentato omicidio ha valorizzato: a) l’incontestata circostanza secondo cui l’intento del giovane sarebbe stato quello di “provocare brusche frenate o sterzata improvvisa dell’automobilista”; b) il luogo teatro dei fatti, una strada statale notoriamente trafficata e frequentata da veicoli; c) l’andatura dell’auto condotta dalla persona offesa che, sebbene non espressa con precisione in km/h, era certamente sostenuta, sebbene auspicabilmente conforme ai limiti previsti per una strada statale (80-90 km/h).
Ha, pertanto, osservato che, in questo contesto, anche una semplice e improvvisa frenata ovvero una brusca sterzata costituivano grandissimo pericolo per l’incolumità del viaggiatore, a prescindere dalle dimensioni, dalla consistenza e/o dalla capacità distruttiva del corpo contundente utilizzato per il lancio dal cavalcavia, poiché il rischio di incidente poteva trovare origine nell’improvvisa manovra di emergenza, attivata dal conducente al fine di evitare l’impatto con il corpo contundente stesso.
Ha ritenuto che proprio tale situazione si fosse concretizzata nel caso in oggetto, come era emerso dalla deposizione della parte offesa che, su specifica domanda, aveva puntualizzato che, per evitare la bottiglia lanciata dall’imputato, fu costretto a cambiare repentinamente corsia, rientrando da quella di sorpasso in quella di marcia, senza neppure guardare nello specchietto retrovisore per controllare se sopraggiungessero altri veicoli dietro.
Per altro verso, il Giudice di secondo grado ha ritenuto prive di sostegno argomentativo le considerazioni formulate nella sentenza di primo grado sull’inidoneità qualità della bottiglia oggetto di lancio (definita “piccola e vuota”), a provocare danni significativi, trattandosi di un oggetto in vetro, rigido e tagliente, idoneo a scalfire, così da non potersi neppure escludere a priori la possibilità di rottura del parabrezza e intrusione dell’oggetto contundente all’interno dell’abitacolo dell’autovettura.
Ha, dunque, concluso che, in considerazione dell’oggetto, lanciato “a candela” dall’altezza da cui il lancio è avvenuto, della velocità certamente non modesta con la quale transitava il veicolo preso di mira, della strada ad elevato traffico veicolare, fosse evidente come l’impatto del corpo contundente lanciato avrebbe potuto produrre come conseguenza anche l’evento morte, sia nel caso in cui penetrando il parabrezza in auto in transito la bottiglia avesse colpito il conducente o qualcuno dei passeggeri, sia nel caso in cui mediante l’effetto sorpresa, nel momento dell’ urto sul parabrezza o all’impatto della stessa sul conducente, avessero provocato lo sbandamento ovvero l’uscita di strada dell’autovettura con concreto rischio di conseguente incidente stradale, con la possibilità di coinvolgere altri veicoli ed effetti letali per le persone a bordo dei mezzi coinvolti.
La motivazione fino a questo punto si pone nell’alveo della più recente giurisprudenza di legittimità, che si condivide e riafferma, superando la più risalente tesi della configurabilità del delitto di violenza privata (Sez. 5, n. 20749 del 13/04/2010, A., Rv. 247592 – 01) e che pertanto ritiene configurabile il dolo omicidiario nelle variegate ipotesi di lancio di oggetti dal cavalcavia.
Già con la precedente pronuncia della Sez. I, n. 19897 del 25/03/2003, L., Rv. 224798 – 01 si è affermato che “costituisce tentativo di omicidio plurimo il lancio “a pioggia”, dall’alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cocci e simili, in quanto tale azione, seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea (…) a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell’agente”. Nell’occasione, occupandosi del caso specifico dell’imputato che aveva scagliato, con un unico gesto, un quantitativo di oggetti, la Corte ha avuto modo di chiarire, quanto all’idoneità degli atti, che vi era pericolo in concreto ravvisabile, con grado di probabilità certamente non trascurabile, pur in presenza di un lancio non mirato, ma “a pioggia”, nel momento in cui sopraggiungevano nella carreggiata interessata alcune autovetture. Con riferimento all’elemento psicologico, ha evidenziato che, “anche volendo considerare non calcolato né prevedibile il transito di alcuni veicoli pressoché in coincidenza con il lancio, il fatto stesso di cagionare la dispersione sulla carreggiata di una molteplicità oggetti non agevolmente avvistabili e capaci di provocare danni ai pneumatici o comunque turbative alla marcia normale delle autovetture su strada destinata a grande traffico ad alta velocità era indubbiamente e univocamente indicativo dell’intento di provocare incidenti con conseguenze potenzialmente letali”.
Anche come nel caso in cui si è ritenuto di individuare il dolo diretto nella condotta dell’agente che, sforzandosi di superare un’alta rete metallica protettiva, aveva lanciato un sasso di rilevante massa in corrispondenza della corsia di scorrimento delle macchine su un’autostrada, notoriamente molto trafficata in determinate ore del giorno, da un punto di un cavalcavia da cui non sia possibile vedere le auto che transitano in basso (Sez. 1, n. 5436del 25/01/2005, M., Rv. 230813 – 01). Nel caso di specie la Corte, riprendendo i principi espressi nella sentenza n. 19897/2002, c.d. sentenza “Lezzi”, quanto alla configurabilità dell’elemento psicologico, ha puntualizzato che integra il dolo diretto il lancio di sassi anche quando tale azione non è diretta a colpire gli autoveicoli, ma è idonea, semplicemente anche per la non facile avvistabilità degli oggetti che cadono o già caduti mentre i conducenti sono impegnati nella guida e transitano a velocità elevata, a creare il concreto pericolo di incidenti stradali anche mortali, al cui verificarsi deve intendersi diretta la volontà dell’agente. Si è, poi, dato valore al dato della non completa visuale nel senso che l’agente non poteva escludere, al momento del lancio, che stessero transitando auto, ciò che ha ritenuto dimostrativo dell’indifferenza verso la vita delle persone che era prevedibile che transitassero su quel tratto di strada.
Nella Cass. Pen. Sez. I, n. 29611 del 30/03/2022, si è, infine, affermato che “In tema di tentato omicidio, è configurabile il dolo diretto nella condotta dell’agente che, dopo aver superato la rete metallica posta a protezione di un cavalcavia autostradale, lanci in immediata successione due sassi di rilevante massa sulla carreggiata al momento del passaggio di un’autovettura, ben visibile dall’alto”.
Sulla scorta delle sopra menzionate premesse ermeneutiche, non è illogica la motivazione del Giudice di appello che ha ritenuto che il giovane autore del lancio avesse realizzato un vero e proprio “tiro al bersaglio” sull’auto in transito lungo la strada sottostante al cavalcavia dove si era strategicamente appostato, poiché egli attese l’arrivo del veicolo in prossimità del cavalcavia per far cadere il corpo contundente.
Circostanza, questa, che ha ritenuto confermativa del fatto che, lungi dal mero divertimento di lanciare a caso oggetti sulla strada sottostante, l’intento criminoso dell’imputato fosse proprio quello di colpire il veicolo, possibilmente nel suo punto più vulnerabile (parabrezza), così da provocare il massimo danno possibile, nelle varie modalità di manifestazione.
A fronte di tale motivazione, il ricorso si limita a riproporre l’opzione interpretativa del primo Giudice, che riproduce graficamente nell’atto, senza introdurre elementi a reale confutazione.
Conclusioni
La Suprema Corte reputa il ricorso infondato e lo respinge.
A detta pronuncia non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, trattandosi di imputato minorenne.
La previsione di cui all’art. 29 del D.L.G. 28.07.1989 n. 272 che, derogando al generale principio della soccombenza del condannato in tema di pagamento delle spese del processo e di custodia cautelare, stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti di persona minore di età comporta detto obbligo, si inserisce, infatti, nel quadro della disciplina del processo minorile, strutturalmente finalizzato alla ripresa o al recupero del percorso educativo del minore.